CATANIA – Commentare le ultime elezioni amministrative a distanza di quattro giorni dal voto comporta il rischio di scrivere qualche ovvietà di troppo, in considerazione del fatto che molti analisti hanno già scritto tante cose interessanti.
Per non correre questo rischio mi limito a una sintesi stringata del voto che ha coinvolto 761 comuni, comprese 20 città capoluogo per un totale di 6.700.000 cittadini (ma ha votato, nuovo record negativo, solo il 61% degli aventi diritto) e a concentrarmi, soprattutto, sul voto della città di Catania.
Il dato nazionale ci dice: a) che vince il Centrodestra trascinato dalla Lega (ma non nel Sud dove Forza Italia tiene); b) che il PD non scompare – al Nord tiene Brescia, Sestri Levante e va in ballottaggio in tanti comuni – da Roma in giù invece arretra; c) che il M5S perde nettamente se si confronta il dato del 10 giugno con quello del 4 marzo, se viceversa si prendono a riferimento le elezioni Amministrative del 2013 i grillini avanzano.
La prima forza elettorale, comunque, è sempre l’astensionismo che si attesta attorno al 45%, con una differenza rispetto al passato: questa volta è meno accentuato al Sud rispetto al Nord.
A Catania si concretizza quello che avevano previsto tanti analisti e che si annusava nell’aria, vale a dire: la sconfitta di Bianco, il trionfo di Pogliese, l’affermazione del M5S che – sebbene sia ben lontano dal 47% ottenuto alle Politiche – raggiunge il 16,7% con il suo candidato allo scranno più alto di Palazzo degli Elefanti. Che all’ex sindaco non sarebbero bastati l’attivismo degli ultimi mesi e le numerose inaugurazioni – con relativo taglio di nastri – per chi vive nelle viscere della città e si confronta ogni giorno con la “pancia” di Catania era scontato.
Bianco perde e subisce una vera e propria umiliazione, oltre che per la pochezza del PD – che è quasi evaporato – anche per la scelta di alcuni assessori che (a prescindere della loro rispettabilità) si sono rivelati inconsistenti sul piano politico-elettorale. Perde anche perché non ha percepito la domanda di cambiamento che si avvertiva in città e per non aver compreso che il nuovo non poteva essere rappresentato da lui, a prescindere dei suoi tanti meriti (che sono quelli di aver rotto la pratica dei vecchi comitati d’affari, ridato ai cittadini l’orgoglio di essere catanesi, il prestigio e qualche opportunità, oltre ad aver recuperato e valorizzato il centro storico). Perde anche per l’incapacità e/o per l’impossibilità di tenere nel suo campo tante personalità che si erano schierate con lui cinque anni fa (alcuni – si dice – perché attratti dal vento favorevole che soffiava nei confronti del centro destra, altri perché non sopportavano più la sua arroganza e la sua forte personalità che spesso si manifestava con una certa invasività).
La brutta sconfitta che archivia l’era Bianco è, infine, figlia di un rapporto con la città che ha privilegiato l’iniziativa finalizzata a fare acquisire a Catania attenzione e prestigio sul palcoscenico nazionale – cosa utilissima perché è stata portatrice di opportunità – a scapito però dei tanti problemi e delle tante esigenze dei quartieri popolari.
La vicenda dei rifiuti con il coinvolgimento di uomini molto vicini all’ex sindaco, la lunga crisi economica e, contestualmente, le casse vuote del comune hanno completato il quadro.
Viceversa l’onorevole Pogliese ha ottenuto un risultato che è andato al di là di ogni più rosea previsione, non solo perché – agli occhi della gente – oltre ad essere stato percepito come il nuovo è apparso meno “lontano” e più popolare rispetto a Bianco, e meno legato a certi ambienti che da decenni dettano legge in città.
Il vento favorevole che soffia nel Paese a favore del centrodestra e la sua capacità di superare le divisioni del passato presentandosi unito hanno fatto il resto.
Ma quali lezioni possono e debbono trarre i partiti da queste elezioni?
Il centrodestra deve dimostrare di meritare l’ampia fiducia che gli è stata tributata rispondendo alle aspettative e alle speranze suscitate, cimentandosi da subito con gli innumerevoli problemi di cui soffre la città.
Il PD, che per l’ennesima volta non perde solo a Catania, ma anche in tanti altri centri, deve comprendere che in parti consistenti della società non è più vissuto e percepito come una forza di cambiamento, capace di aderire – come si diceva una volta – in tutte le pieghe della società, ma come un corpo estraneo, lontano dagli interessi della povera gente, dei lavoratori, dei piccoli imprenditori. Recuperare il terreno perduto e ritornare ad essere percepito come una forza politica utile è possibile, a condizione però di adeguare la propria proposta politico-programmatica e di rinnovare rapidamente e profondamente i suoi gruppi dirigenti.
Attingendo quando è utile alle “vecchie glorie” (purché queste siano disponibili a contribuire a ricostruire uno spirito di comunità e a tornare fisicamente nei luoghi dove oggi si misura la natura dei conflitti sociali, culturali e politici), ma attingendo soprattutto a nuove personalità, capaci di collegarsi a quella parte di società più colpita nei suoi bisogni, di parlare ai giovani, ai tanti disoccupati, al mondo delle professioni, alle persone che lavorano alla base e al vertice delle imprese e della pubblica amministrazione.
Il PD per recuperare ruolo e funzione nella società non solo deve andare oltre se stesso e i mondi, e gli orizzonti, in cui ha vissuto la propria esistenza – naturalmente se questo viene ritenuto indispensabile – per rimettere in moto il cambiamento in forme che proprio la necessità rende del tutto diverse dal passato, ma nel contempo impegnandosi anche a sanare le tante ferite interne e a ricucire la tela lacerata della sinistra.