Nonostante abbia già scritto – su questo stesso giornale – sull’esito delle recenti elezioni politiche e abbia espresso la mia opinione sulla spaccatura in due del Paese – un Nord largamente egemonizzato da una destra sovranista e xenofoba e un Sud che non premia il centro destra, ma consegna ai 5 Stelle la sua sofferenza e la sua voglia di cambiamento – avverto l’esigenza di tornare a ragionare, a freddo, su alcuni aspetti del voto.
In particolare ritengo assolutamente necessario ritornare a riflettere sul voto del Mezzogiorno indirizzatosi verso i grillini e sulla pesante sconfitta del PD e delle formazioni politiche che si sono collocate alla sua sinistra,anche perché questo partito in questi anni non ha avuto un ruolo irrilevante: ha guidato il governo del Paese e ha governato quasi tutte le regioni del Mezzogiorno.
Il PD perde 2,5 milioni di voti rispetto al 2013. Metà della perdita è concentrata al Sud dove questo partito è al 14 per cento (in Sicilia è al 12 per cento) rispetto al 18 per cento del Nord e al 26 per cento del Centro. Un vero e proprio tsunami che non è riconducibile solo a Renzi e alle sue politiche (la sua scalata al potere e le sue scelte hanno solo accelerato l’epilogo della classe politica post-comunista e post-democristiana che ha guidato il Paese negli ultimi 25 anni), se è vero come è vero che nel lontano 2013 perse 3,5 milioni di voti rispetto al 2008.
Relativamente al voto ai grillini ritengo molti dei giudizi espressi superficiali e dettati da pregiudizi. Infatti affermare che quel voto è figlio del ribellismo e della propensione dell’elettorato meridionale all’assistenzialismo e al clientelismo, non significa solo dire che esso ha una valenza quasi eversiva,ma a sostenere anche la tesi che ha votato per i pentastellati solo perché affascinato dalla proposta del reddito di cittadinanza. Penso, invece, che quando si protesta con il voto per denunciare le proprie difficili condizioni di vita non c’è nessun pericolo per il sistema democratico, in quanto il voto è il sale della democrazia.
Anzi a proposito del voto ai grillini penso che sia andata più che bene per la democrazia perché il malessere profondo che pervade le popolazioni meridionali si è incanalato verso una forza democratica (discutibilissima nei programmi e nei metodi, ma di forza democratica si tratta) e non verso rivolte che hanno nel tempo contrassegnato la storia del Mezzogiorno.
Se non ci fosse stato la vittoria dei 5 Stelle al Sud, l’Italia sarebbe stata consegnata nelle mani di Salvini, di chi ha teorizzato la separazione del Nord dalla “vergogna del Sud “, e ribadito più volte che senza i meridionali l’Italia sarebbe migliore.
Per quando riguarda la disfatta del PD per le dimensioni che questa ha assunto, soprattutto nel Mezzogiorno, rischia di segnare per questo partito un punto di non ritorno e di precludere alla sinistra qualsiasi possibilità di ripresa.
Tale nefasta prospettiva la ritengo un offesa nei confronti di chi ha militato in questo campo, di chi ha lottato (tra errori e contraddizioni) per contribuire a edificare la democrazia, per far uscire il Mezzogiorno dalle condizioni di arretratezza nella quale le classi dominanti l’avevano relegato e per assicurare diritti fondamentali e welfare ai lavoratori.
Un affronto verso quegli uomini e quelle donne che nel Sud hanno combattuto contro le tante mafie, i tanti apparati clientelari e affaristici e che hanno tenuto il Mezzogiorno in ostaggio per tanti anni.
Ecco, di fronte allo schianto elettorale della sinistra, quel che più colpisce é l’assoluta incapacità dei gruppi dirigenti di guardare in faccia la realtà, per come essa si presenta nel concreto; di abbozzare una risposta che possa gettare le basi di una possibile ripresa. Dimenticandosi di considerare financo una verità elementare: quando il 90 per cento o l’ 87 per cento degli elettori votano da un’altra parte, vuol dire che il PD ha un problema enorme di radicamento sul territorio.
È vero il voto negativo al PD è anche figlio della disgregazione dei partiti socialisti e socialdemocratici dell’Europa continentale, vedi Spagna, Francia ,Austria, Olanda, ma anche Germania dove l’Spd, dopo aver toccato il fondo della sua consistenza elettorale (20,5 per cento) alle ultime elezioni, prova, ora dopo gran travaglio a rimettersi in campo nel nuovo governo Merkel.
Ma nel voto non c’è solo questo, né il fatto di non aver saputo valorizzare quanto fatto dai governi Renzi-Gentiloni o di aver parlato poco del Sud.
No.
Il Sud ha rappresentato il buco nero del PD : a) per la sua assoluta ignoranza rispetto alle reali condizioni strutturali dell’economia e della società meridionali; ignoranza, mista a superficialità e sufficienza che ha riguardato tutta la classe dirigente: Governi nazionali e regionali, Informazione, Associazioni imprenditoriali, Sindacati. In questi anni non si è solo parlato poco del Sud, si è anche parlato male. Se n’è parlato solo per dire che i meridionali sono la causa dei loro mali, e per dire che hanno una propensione all’assistenzialismo e al clientelismo; b) per non avere mai seriamente tentato una risposta alla tragedia del non lavoro e del non welfare che attanaglia la maggioranza delle famiglie meridionali; c) per non avere reagito alla riproposizione nelle sue fila del familismo familiare, dell’affarismo, del trasformismo.Ignorando il fatto che un partito dalle forti basi morali e ideali che non abbia una spinta di questo tipo non esiste e non ha ragione di esistere; d) per essersi identificato con l’establishment, mentre il ceto medio si impoveriva e regredivano salari e diritti e i giovani non trovavano lavoro.
Di fronte a tutto questo che dovrebbero fare i gruppi dirigenti del PD?
Certamente non continuare a beccarsi come i capponi di Renzo nei ” promessi sposi” tra chi sostiene il ruolo salvifico dell’opposizione e chi pensa,invece, all’opportunità di far pesare il 18 per cento ottenuto alle elezioni. Ma,oltre a pacificare gli animi, dovrebbero fare due cose. La prima: partire dalla consapevolezza che il loro partito rischia di ridursi a una forza politica insignificante; la seconda: non puntare tutte le carte sulla possibile inconsistenza governativa dell’onorevole Di Maio, in quanto non è scontato che un insuccesso al governo da parte dei pentastellati possa riportare automaticamente gli elettori nelle braccia del PD. I 5 Stelle nel Sud vincono anche a causa della scarsa credibilità dei propri avversari; e chi li ha premiati l’ha fatto per punire le prepotenze, i personalismi esasperati, i trasformismi, per dirla in una battuta, il modo come si è presentato il PD in tante realtà del Mezzogiorno e in particolare della Sicilia.
Quindi per tentare una possibile ripresa occorre che i “maggiorenti” di questo partito mettano in campo, ora e subito, una proposta programmatica che abbia un respiro profondo, in grado di rispondere concretamente ai bisogni del Sud. Una proposta che, oltre a porre la questione del superamento del divario Nord-Sud, sul terreno dello sviluppo non punti più prevalentemente al motore dell’industria del Nord come traino per portare il Paese fuori dalla crisi e indichi, nel contempo, precisi interventi di politiche attive del lavoro e misure che tutelino anche chi non trova un’occupazione. Una proposta programmatica accompagnata da una carta dei principi e dei valori, da sottoporre a un grande dibattito di massa sincero e vero che coinvolga tutti gli iscritti, i quartieri, i luoghi di lavoro, le scuole, le piazze di paesi grandi e piccoli.
Collocarsi all’opposizione senza dire come si intendono risolvere i problemi della Nazione e quali interessi si vogliono difendere equivale a continuare a pestare l’acqua nel mortaio ed a condannarsi all’irrilevanza.
Per dirla con le parole del grande poeta cileno, Pablo Neruda “Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno”.