L'impresa non è una tigre da uccidere né una mucca da mungere, ma un cavallo che traina un carro pesante

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La notizia diffusa dal Sole 24 ore qualche giorno fa, relativa a parecchie decine di aziende e professionisti che scappano dalla Sicilia – in particolare dal capoluogo – e trasferiscono la loro sede legale al Nord, segnala un fenomeno molto inquietante; anche perché sembra preludere a un probabile spostamento delle loro sedi operative – in un futuro più o meno prossimo – altrove.

Questa prospettiva sarebbe un’ulteriore mazzata a un territorio già particolarmente provato dalla lunga crisi dove, tra il 2008 e il 2015, si sono volatilizzate 55.000 imprese, un fatturato di 28 miliardi di euro e 105.000 posti di lavoro, e dove il numero delle persone prive di un’occupazione ha raggiunto 800.000 unità.

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La causa di questa vera e propria fuga risiede nella antica difficoltà a fare impresa in Sicilia: l’indicatore che misura il disagio imprenditoriale vede la nostra Isola contendere il primato negativo alla Sardegna, l’unica che fa peggio di noi.

Le situazioni di contesto che rendono particolarmente difficoltoso cimentarsi nell’attività di impresa, oltre alla presenza della mafia, sono:

  1. il rating bancario che tiene conto anche della sede legale e i tassi di interesse che in Sicilia raggiungono il 6,1%, contro il 5,3 del Sud e il 3,5% del Nord;
  2. il deficit di infrastrutture che ci penalizza, in quanto chi ha un mercato al Nord o all’estero deve sostenere un costo aggiuntivo per il trasferimento delle merci. Ciò a causa della situazione delle autostrade, delle ferrovie e degli aeroporti che collocano la Sicilia nella graduatoria delle regioni italiane al penultimo posto;
  3. i tempi occorrenti per chiudere una procedura fallimentare: 5 anni in Trentino e 11 anni quasi in Sicilia;
  4. l’enorme macchina burocratica che frena ogni cosa e spaventa gli investitori stranieri, che infatti continuano a stare alla larga dall’Isola: sono solo 69 le aziende straniere presenti nel nostro territorio su 12.800 allocate in Italia ;
  5. la qualità dei servizi e la gestione della cosa pubblica che spesso per chi governa non è un dovere, ma un affare privato che trasforma i cittadini in sudditi.

Ecco perché l’indicatore della competitività del territorio – elaborato dalla Commissione Europea – che mette insieme una serie di dati, dal funzionamento delle istituzioni alla sanità, dalle infrastrutture alla formazione, dalla diffusione delle tecnologie ai livelli di innovazione, colloca la Sicilia al 237° posto su 263 regioni europee.

Di fronte a questo vero e proprio dramma il nuovo governo della Regione si comporta alla stessa stregua dei suoi predecessori: fotografa solo la realtà esistente, aggiungendo magari qualche particolare in più per rendere l’immagine più nitida, ma di iniziative in grado di invertire la tendenza non se ne vede neppure l’ombra. Anzi alcune idee, come l’ipotesi di accorpare la Crias e l’Ircac (i due Enti regionali che erogano il credito agevolato ad artigiani e cooperatori) all’Irfis si muove nella direzione opposta.

Ciò perché l’Irfis dopo la riforma del 2012 si è trasformato in intermediario finanziario  sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia e di conseguenza opera con le stesse regole utilizzate dagli Istituti di credito che, lo sanno tutti, sono diverse di quelle che sovrintendono al credito agevolato.

Infatti facendo una comparazione su due prodotti finanziari concessi ad esempio dall’Irfis e dall’Ircac si nota la differenza, il danno che si recherebbe in questo caso alle cooperative se andasse in porto l’idea dell’accorpamento.

Per un credito a Medio Termine di 100.000,00 €, da restituire in 15 anni se il finanziamento viene concesso dall’Irfis, il beneficiario dovrà restituire 178.369,80 perché l’Ente applica un tasso di interesse dell’8,84% (tasso fisso). Per lo stesso tipo di prodotto e per l’analogo importo e durata se il finanziamento viene, invece, concesso dall’Ircac la Cooperativa dovrà restituire 102.719,61€, in quanto il tasso di interesse applicato da questo ente è dello 0,25%.

Relativamente a un Credito di Esercizio di 100.000,00 €, se il prestito viene concesso dall’Iris, il beneficiario dopo 2 anni dovrà restituire 121.870,50 €, in virtù di un tasso di interesse applicato del 7,89% (tasso fisso). Se, invece , viene concesso dall’Ircac la Cooperativa dopo 5 anni dovrà restituire 100.719,61 €. Ciò perché’ Ircac applica un tasso di interesse pari allo 0,25%.

Se la comparazione la facessimo tra l’Irfis e la Crias (l’Ente che eroga il credito agevolato agli artigiani) il risultato non cambierebbe granché.

In sostanza l’accorpamento si tradurrebbe nella cancellazione del credito agevolato attualmente vigente a favore di artigiani e cooperatori, con la conseguenza di spingere altri imprenditori ad abbandonare l’Isola.

Poiché non penso che il presidente Musumeci voglia questo tipo di risultato, auspico che ci ripensi, come hanno fatto tutti i suoi predecessori, a partire dal presidente Campione che ebbe per primo l’idea di accorpare la Crias e l’Ircac all’irfis, nel lontano 1992, seguito dagli onorevoli Graziano, Cuffaro, Lombardo e Crocetta. E si concentri, invece, a creare un ambiente favorevole per chi fa impresa – in quanto è l’impresa che può creare lavoro – e operi, nel contempo, per individuare quelle misure che possano attrarre nuovi investitori esteri; che se “accolti” bene potrebbero fare la fortuna di questa nostra bellissima terra.

Insomma lo dico parafrasando Sir Winston Churchill: “… L’impresa privata non è una tigre feroce da uccidere subito nè una mucca da mungere, ma un cavallo che traina un carro molto pesante”.

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