A una settimana dal voto mi sembra inutile continuare la polemica nei confronti di partiti e coalizioni su quello che doveva essere e non è stato, vale a dire sui temi che avrebbero dovuto occupare la scena elettorale e che, invece, sono stati assolutamente ignorati.
Questione giovanile, Mezzogiorno, Burocrazia, Sicurezza sono stati dimenticati forse perché gli attori politici hanno pensato che la gente, qualsiasi cosa avessero detto o scritto sui programmi, non li avrebbe presi sul serio.
Ma la cosa che più sorprende di questa strana campagna elettorale (caratterizzatasi per i toni sguaiati, gli insulti, la delegittimazione dell’avversario e per la presentazione di programmi politici assolutamente irrealizzabili ) è che stiamo assistendo a una contesa tutta giocata in difesa tra amici e sodali che si incontrano al chiuso di una sala.
È vero che non ci sono più i vecchi partiti in grado di organizzare la mobilitazione di migliaia di persone e riempire le piazze, è vero anche che i comizi non sono più di moda: tanta gente segue le campagne elettorali in televisione, dallo smartphone, sui social, su WhatsApp.
Penso però che i leader dei partiti (tranne qualcuno) disertino le piazze non solo perché non hanno nostalgia dei vecchi riti elettorali, nè tantomeno perché temono – come sostiene qualcuno – il cattivo tempo, ma probabilmente perché hanno paura che la rabbia dei disoccupati, la pancia vuota della povera gente, l’impoverimento dei ceti medi, l’insoddisfazione delle forze produttive, possano esplodere in aperte contestazioni.
Alla sorpresa per questa vera e propria fuga dalle piazze si aggiunge l’indignazione per il rifiuto al confronto da parte di tanti leader di partiti e movimenti. Atteggiamento che considero una mancanza di rispetto e una vera e propria lesione del diritto dell’elettore a farsi un’opinione, a votare con scienza e coscienza, come avviene in tutti i sistemi democratici dove ci si reca alle urne dopo aver valutato uomini, progetti e programmi e avere assistito, incollati ai televisori, a più confronti tra candidati.
È così in America, Francia, Germania, Gran Bretagna e in tutti i Paesi del mondo che sono governati da un sistema democratico.
In Italia no. E questo non può essere assolutamente tollerato, anche perché i partiti godono di lauti finanziamenti pubblici e quindi hanno il dovere di rispettare coloro i quali, pagando le tasse, gli consentono di spendere e spandere prima, durante e dopo le campagne elettorali.
Affermazioni come quelle pronunciate da chi viene dato in vantaggio dai sondaggi – “non è conveniente per chi sta davanti affrontare chi sta dietro” – denotano timore e mancanza di rispetto degli avversari, ma anche la volontà di condizionare gli elettori nell’espressione di un voto libero e consapevole.
In questo ultimo scorcio di campagna elettorale è auspicabile, da parte di tutti i contendenti, uno scatto di orgoglio, un atto di responsabilità che stimoli la partecipazione dei cittadini al voto.
Ciò è assolutamente necessario in quanto questi ultimi giorni della competizione elettorale sono avvelenati dalla violenza che, oltre a rievocare gli anni di piombo, la strategia della tensione, gli opposti estremismi, ha riproposto il ritorno dei fantasmi di una storia esaurita che appartiene irrimediabilmente al passato.
Una prova di maturità che condanni senza se e senza ma qualsiasi violenza, archivii la fase di tutti contro tutti e contribuisca a svuotare il bacino dell’astensionismo per salvaguardare così il voto – che è lo strumento più importante della democrazia – e per mantenere viva la speranza di un futuro migliore.
Sarebbe un bene se domenica prossima, anche a dispetto delle annunciate avversità climatiche, i siciliani mettessero da parte riluttanza, sfiducia, disappunto e andassero a votare.
Specialmente i giovani.
Che credo debbano essere i primi a doversi preoccupare del futuro.