L’Apocalisse delle pensioni

- Pubblicità -

Dalle baby pensioni con il sistema retributivo alla riduzione degli assegni con il sistema contributivo fino all’ingiustizia sociale per la scomparsa della pensione di azianità.
Dall’
allungamento del periodo di pagamento delle pensioni, dovuto all’ aumento della durata della vita media, al rallentamento della crescita economica.

Come è cambiato il sistema pensionistico in Italia e che danno sta producendo ai giovani, ai lavoratori, ai conti pubblici, agli esodati e alle aziende?

- Pubblicità -

Prima di giungere alle conclusioni è necessario riportarvi una breve cronostoria:

1973 – le lavoratrici della pubblica amministrazione potevano andare in quiscienza a 14 anni, sei mesi e un giorno, dopo 20 anni di attività i dipendenti pubblici di sesso maschile e dopo 25 tutti i privati: sono le famose baby pensioni.

1992 – Si passa da un estremo all’altro: Amato abolisce tali privilegi ma introduce forti  tagli e l’entrata in vigore di requisiti più stringenti per aver diritto alle prestazioni previdenziali. Il governo Amato portò l’età pensionabile da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini spostando la contribuzione minima da 15 a 20 anni, inoltre abolì il cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo.


1995 – la riforma Dini depennò il sistema retributivo. Per avere diritto alla pensione di anzianità gli assunti a partire dal 1996 sarebbero dovuti andare in pensione con il sistema contributivo con 35 anni di versamenti. Vennero tagliati gli importi delle pensioni di invalidità e di reversibilità sulla base dei reali redditi dichiarati. La differenza è sostanziale
: mentre con il retributivo la pensione era proporzionale allo stipendio percepito nell’ultimo periodo, con il contributivo l’assegno dipende dalle quote contributive versate durante l’intera carriera lavorativa.


1997 – Con lo scopo di entrare nella moneta unica europea come fondatore, Prodi innalza ancora i requisiti di accesso alla pensione di anzianità per i lavoratori e blocca la rivalutazione di alcuni trattamenti.

2001 – Berlusconi adegua le pensioni minime e le pensioni sociali portando l’importo minimo a un milione di lire al mese. Nel 2003, poi, arriva la possibilità di cumulo totale tra pensione di anzianità, liquidata a 58 anni con almeno 37 anni di contributi, con i redditi di lavoro autonomo e dipendente. I lavoratori parasubordinati sono parificati agli autonomi e constestualmente viene soppresso l’Inpdai che viene inglobato dall’Inps, e nel 2004 compare per la prima volta il contributo di solidarietà – pari al 3% – sui trattamenti superiori a 25 volte il minimo.

2004 – Maroni introduce lo “scalone” innalzando ancora l’età anagrafica che dal 2008 passa da 57 a 60 anni. Per le donne rimane la possibilità di andare in pensione di anzianità a 57 anni di età e 35 anni di contribuzione. Per incentivare i lavoratori a proseguire la loro attività, poi, arriva il super bonus del 32,7% per chi rinvia la pensione di anzianità.


2007 – La Riforma Damiano-Padoa Schioppa cancella lo scalone, al suo posto il “sistema delle quote” che si ricava sommando l’età e gli anni lavorati. L’età pensionabile per le donne del pubblico impiego sale, gradualmente, fino a 65 anni.

2011La Riforma Fornero rende esecutivo un meccanismo che adegua i requisiti per la pensione all’aumento dell’aspettativa (o speranza) di vita. Sempre la professoressa Fornero, con il decreto Salva Italia, elimina il sistema delle quote ed estende a tutti il sistema contributivo. Viene innalzata l’età minima per la pensione ed equipara le donne agli uomini. Con la Riforma Monti – Fornero introdotta dall’articolo 24, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 viene soppresso il diritto alla pensione di anzianità. Tale legge penalizza e crea un vuoto normativo per circa 65000  lavoratori delle aziende in crisi che presso i Ministeri avevano conciliato il licenziamento volontario usufruendo degli ammortizzatori sociali per il tempo previsto dalle legge realtiva legge, i cosidetti “esodati”.

Per riempire tali vuoti normativi sono state adottate delle clausole di salvaguardia. L’ottava è stata introdotta con la riforma pensioni del 2017, che ha coinvolto oltre 30.000 lavoratori e nei prossimi anni sono previsti ulteriori interventi legislativi poichè Renzi non ha inteso abolire la Riforma Fornero. Inoltre, per far quadrare i conti con la legge di bilancio 2017 è stata introdotta l’APE, un’indennità a carico dello Stato erogata dall’INPS per i soggetti che abbiano compiuto almeno 63 anni di età che però esclude gli assegni al nucleo familiare.

Oggi, dopo 26 anni di intereventi peggiorativi per i lavoratori e per il mercato, con la motivazione di migliorare i conti pubblici che però restano sempre in rosso, ci si chiede se e quando i giovani andranno in pensione.

Allo stato attuale, una risposta certa non è piu’ possibile darla, in quanto, come già detto è stato eliminato il diritto della pensione di azianità contributiva e la pensione di vecchiaia è stata legata alle speranze di vita.


Tuttavia per fornire un’idea abbiamo simulato con l’INPS la pensione futura di un metalmeccanico assunto nel 1997: con le leggi attuali, i lavoratori privati potranno andare in pensione a 69 e 5 mesi!

Tutto ciò appare una vera ingiustizia sociale in quanto il meccanismo dell’aspettativa di vita potrebbe risultare sbagliato per due motivi: primo l’allungamento della vita non corrisponde sempre a una buona qualità della vita. Si, è vero la vita si è allungata ma grazie ai farmaci che attenuano le patologie anche se spesso risultano invalidanti; secondo sarà difficile per un settantenne mantenere la stessa produttività in età così avanzata. Per questo crediamo che le aziende private non si potranno permettere la perdita di perfomance così significative e pertanto è paventabile che alcune multinazionali possano delocalizzare le proprie attività per evitare di chiudere.

Senza un’inverisione di tendenza lo scenario che i sindacati non hanno ancora previsto potrebbe essere devastante. Milioni di persone disoccupate e senza pensione!

Inoltre, a nostro avviso, per uscire dalla crisi e rimettere in moto i mercati economici occorrerebbe facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e non ritardarlo come avviene oggi, in quanto sono proprio loro a doversi realizzare nella vita e non certo chi ha già famiglia, comprato casa, auto, etc…

 

- Pubblicità -