Santo Privitera: “Vi racconto la storia di Sant’Agata in breve”

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CATANIA – Ancora pochi giorni e i catanesi riabbracceranno Sant’Agata. Catania indossa l’abito più bello per godere al meglio la bellezza e la magnificenza della sua Sant’Aituzza, che tra il sapore della calia, il profumo dello zucchero filato e lo sventolio di scuzzitte e guanti bianchi ogni catanese cerca di vivere come meglio può la festa. In occasione degli imminenti e solenni festeggiamenti incontriamo Santo Privitera, il maggiore studioso di Storia Patria catanese e massimo esponente degli studi scientifici sulla documentazione agiografica di Sant’Agata, per ripercorrere insieme alcuni momenti salienti della festa e della storia della Santa Patrona.

Con la festa di Sant’Agata tutta la città si blocca per onorare la nostra Santuzza, proviamo insieme a ripercorrere la nascita di questa festa e com’è cambiata nel tempo?

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«La devozione dei catanesi verso Sant’Agata, si manifesta già subito dopo il martirio. Agata muore e la maggioranza dei pagani presenti in città si converte in massa al Cristianesimo. L’anno successivo,  la conferma della Santità di Agata. Il Sacro Velo posto innanzi alla lava che avanzava inesorabile verso la città, si arrestò improvvisamente. Era l’anno 252 a.C. Per i festeggiamenti, facciamo riferimento al 1126. Dopo 86 anni di forzato “esilio”, le Sacre Spoglie vengono riportate a Catania. Erano state trafugate nel 1040 dal generale Bizantino Maniace per offrirle in dono in segno di vittoria all’imperatore di Costantinopoli Michele IV Plaflagone. I catanesi accolsero le Reliquie della Vergine e Martire con grande giubilo; inneggiando con fede e devozione alla Santa eroina. Quella fu la prima grande festa. Nel corso dei Secoli, è variata di molto. Ogni generazione ha voluto lasciare la propria impronta. E come da tradizione, al Sacro si è mescolato il profano. I festeggiamenti hanno inciso profondamente sulla storia di Catania, condizionando scelte urbanistiche, costumi  e comportamenti sociali. Mi consenta però una precisazione: Per noi Catanesi  l’appellativo è “Sant’Aituzza”.  ” ‘A Santuzza” è da intendersi Santa Rosalia Patrona di Palermo».

Il busto reliquiario della nostra Sant’Aituzza dagli inizi della festa ad oggi è cambiato. Come si è trasformato e perché? 

«Si dà per certo che a partire dal 1376, anno della realizzazione del Busto Reliquiario preziosa opera del senese Giovanni Di Bartolo, Sant’Agata per la prima volta, tra gli omaggi del Vescovo, del Senato e del Popolo, venne condotta in processione. In un primo momento solo all’interno della Cattedrale. Negli anni successivi, dopo un breve tragitto per le vie interne praticabili, dalla “Porta di Ferro”  cominciava il giro esterno, si deve tener presente però che il perimetro della città a quell’epoca era molto ristretto.  Il Busto veniva adagiato su di un Fercolo di legno scolpito, finemente decorato, quindi portato a spalla dagli ignudi (così nominati perché in segno penitenziale avevano il petto nudo e piedi scalzi). Prima del 1376 la Santa Patrona veniva venerata in chiesa e con poche manifestazioni festaiole. Fu così che nel pomeriggio del 4 di febbraio del 1169, un terribile terremoto, facendo crollare parte della cattedrale, seppellì parecchie centinaia di fedeli in preghiera. Una vera e propria ecatombe».

Sulla vera età di Sant’Agata ci sono varie leggende ma qual è la vera età?

«Su questo punto non c’è chiarezza anche negli Atti del Martirio. 230? 235 o 238? I Bollandisti che intorno alla metà del ‘600 si occuparono della vita dei Santi, addirittura sostennero che all’epoca del Martirio Agata sarebbe stata poco più che una bambina. Inverosimile se consideriamo che il diritto Romano non consentiva violenze nei confronti dei fanciulli anche se perseguitati Cristiani. E’ invece probabile che la ragazza il martirio lo subì tra i 18 e i 25 anni. A tal proposito esiste un mosaico nella basilica di Santa Apollinare Nuovo in Ravenna, in cui, tra l’altro, il volto di Agata apparirebbe in età chiaramente adolescenziale».     

Il famoso detto su Sant’Agata “Prima s’arrubbano e poi ci ficiru i porti di ferru” è vero? Sant’Agata e il suo tesoro è stato veramente oggetto di rapina?

«Il proverbio fa probabilmente riferimento a un fatto di cronaca accaduto nel 1890. Quell’anno venne scoperto un furto. Ad essere depredato fu il Fercolo. A parte le preziose lamelle argentate, vennero trafugate le massicce statuette anch’esse argentate, raffiguranti i Dodici apostoli. Gli autori del furto vennero prontamente assicurati alla giustizia anche se la refurtiva non venne mai più recuperata. A fare da “basista” fu sospettato un prelato della Cattedrale. Un fatto, all’epoca, assolutamente sconvolgente. Di tentativi, in passato, ne vennero fatti ma i colpi fortunatamente non andarono a segno. A seguito di ciò vennero usati degli accorgimenti. “Cu si vaddau, si savvau” si dice dalle nostre parti». 

Com’è nata la sua passione verso gli studi agatini?

«All’età di 4 anni indossai il primo Sacco bianco. Mi venne confezionato dalla mia compianta zia. Forse fu un segno del destino, perché a seguire, prima mia madre poi la mia maestra del doposcuola mi parlarono molto di Sant’Agata. Lessi la sua storia agiografica come fosse una fiaba. Poi incontrai Antonello Germanà Di Stefano, grande studioso di Storia Patria e devotissimo di Sant’Agata.  Insieme a lui vissi quasi misticamente i momenti di preghiera che si svolgevano durante la Messa dell’aurora, che fu per noi un appuntamento irrinunciabile almeno fino a quando nel giugno del 1996 Antonello non lasciò prematuramente questo mondo».

Cosa ne pensa del tanto folklore popolare della festa che spesso e volentieri non è molto pertinente con il significato religioso?

«La degenerazione della Festa cominciai ad avvertirla nel 1995. Quell’anno, nella prefazione ad un libro pubblicato proprio da Antonello, lamentai i pericoli futuri che sarebbero potuti derivare da una gestione organizzativa scarsamente accorta e ampiamente superata dai tempi. Lamentai la disattenzione palese verso il Sacro a beneficio invece di una spettacolarizzazione sempre più invadente e pericolosa. Il titolo fu un monito: “Citatini, qui c’è Sant’Agata”. Alla luce degli avvenimenti successivi, molto in verità, anche se per forza di cose è cambiato. La Festa è per Sant’Agata e in quanto tale va vissuta nel segno della religiosità. Il folklore è una manifestazione terrena del popolo, nato nel segno della preghiera e non è mai da intendersi fine a sé stesso». 

 

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