PALERMO – Ci risiamo. Dopo anni di discussione sulle occasioni di sviluppo mancate per inadeguatezza delle classi dirigenti siciliane, sui fondi europei male utilizzati o addirittura restituiti per carenza di progetti, sulla burocrazia asfissiante che da servizio si è fatta nemico conclamato dei cittadini, nelle scorse ore il Tribunale dell’Unione Europea ha deciso di togliere alla Sicilia circa 380 milioni di fondi strutturali.
Una decisione clamorosa, che piomba come un fulmine sullo stato delle casse regionali. I cui motivi sono messi nero su bianco in un pesantissimo documento vergato dai giudici UE, nominati congiuntamente dai governi degli stati membri e quindi anche dell’Italia.
“Progetti presentati dopo la scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione – si legge nel documento delle toghe lussemburghesi, riportato sul Corriere della Sera di oggi – spese di personale non correlate al tempo effettivamente impiegato per i progetti, consulenti esterni privi delle qualifiche richieste, insufficienti giustificativi di spesa, altre spese non attinenti ai progetti, esecuzione delle attività non conforme alla descrizione dei progetti, violazione delle procedure d’appalto e di selezione di docenti e fornitori”.
In buona sostanza, l’Europa accusa l’Italia, e nello specifico la Sicilia, di avere un sistema di controllo e utilizzo inadeguato dei fondi comunitari. Sullo sfondo il “Por Sicilia”approvato dalla Commissione Europea nel 2000 e nel 2004, per complessivi 1,209 miliardi di cui 846 milioni cofinanziati dal Fse (Fondo Sociale Europeo). Una barca di soldi con cui la Regione avrebbe potuto mettere a posto tante cose.
E invece, già nel 2015, la Commissione denunciava “irregolarità singole e sistemiche” nell’utilizzo dei fondi da parte dei siciliani, alcune delle quali accertate dall’Olaf (Organismo antifrode europeo). Da qui la sostanziosa decurtazione di 379 milioni 730 mila 431 euro e 94 centesimi. Una decisione contro cui l’Italia aveva presentato ricorso, bocciato nelle scorse ore dai giudici lussemburghesi. In una sentenza che è un pesantissimo atto d’accusa nei confronti della burocrazia e della politica siciliana, di ogni colore.
In un frangente storico come quello che stiamo vivendo, l’incapacità politica e amministrativa nella gestione dei fondi comunitari assume una particolare gravità. Ed è impensabile che anche questa volta – mentre la politica si spertica in promesse in vista del voto del 4 marzo, assicurando agli italiani e ai siciliani sgravi e servizi a tratti favolistici – la decisione dei giudici lussemburghesi passi sulla testa dei cittadini senza che chi di dovere paghi.
Il Tribunale UE traccia precise responsabilità, fotografando un meccanismo farraginoso purtroppo ben noto a chiunque abbia avuto a che fare con la cosa pubblica siciliana negli ultimi anni. Quando la politica ha perso tempo in promesse e la macchina amministrativa si è disfatta in prebende e clientele. Con il risultato – del resto prevedibile – di perdere per strada risorse fondamentali per il benessere dei siciliani.
I quali avrebbero il dovere di non lasciare l’indignazione e la protesta a sparuti gruppi di contestatori, chiedendo invece a gran voce che emergano le responsabilità di chi, da quindici anni a questa parte, ha permesso le “irregolarità singole e sistemiche” che ci hanno appena fatto perdere un sacco di soldi. Nonché le speranze di futuro che avrebbero potuto sorgere dal loro utilizzo.