Non solo vino. Sotto il Vulcano c'è spazio anche per la birra

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Mimmo e Pawel, 30 e 29 anni. Pugliese il primo; polacco trapiantato in Italia il secondo. Entrambi, però, catanesi d’adozione. Professione: mastri birrai.

 

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CATANIA – No, non è la storia di una centenaria tradizione brassicola di famiglia giunta all’ennesima generazione. Piuttosto, il racconto di una scommessa imprenditoriale, della vivacità di due giovani tradotta in “fare impresa” partendo da zero e facendo leva solo sulla passione, la voglia di ricavarsi autonomamente una collocazione professionale nel mondo e una buona idea. Ecco come nasce Mongibello Birre, il microbirrificio che Mimmo La Gioia e Pawel Sambataro hanno messo in piedi, neanche un anno fa, a Catania. A giocare un ruolo chiave, il desiderio di sfuggire al precariato. Mimmo lavora per anni nel settore commerciale, come addetto alle vendite nel campo dell’abbigliamento, mentre Pawel ha esperienza nel settore dell’informatica; tanta fatica, qualche soddisfazione, ma poche certezze. Un giorno decidono di invertire la rotta: “Piuttosto che continuare a inviare i nostri curricula, abbiamo scelto di crearcelo da noi un lavoro”.
Tutto è partito con la produzione di una bionda e una rossa, che hanno deciso di chiamare “Jebel”, il nome con cui gli arabi indicano la montagna. Non una qualsiasi, bensì l’Etna, il maestoso vulcano che per un catanese è la Montagna per antonomasia. Un omaggio a tutto tondo alle radici etnee e alla storia di questa terra resa fertile dalla dominazione araba. E i risultati non si sono fatti attendere: “Non credevamo di poter crescere così rapidamente – dice Mimmo -; attualmente siamo presenti in oltre 40 locali solo a Catania e provincia e abbiamo contatti avanzati per la fornitura in quasi tutta la Sicilia”.
Mongibello Birre va ad arricchire il panorama dei birrifici artigianali italiani, che nell’ultimo decennio si sono moltiplicati da Nord a Sud facendo registrare un vero e proprio boom. Secondo le ultime rilevazioni di Assobirra, l’associazione che riunisce le imprese del settore brassicolo, nel 2016 i microbirrifici in attività hanno dato lavoro a circa tremila persone, quasi tutte under 35, ma i numeri crescono se si considera l’indotto. Segno che l’arte della birra esercita un massiccio fascino soprattutto sui giovani, giocando sul doppio fronte della passione per il buon bere da un lato e della necessità di mettersi in proprio, in un contesto socio-economico povero di alternative, dall’altro. Peccato, però, che il mercato sia pesantemente fiaccato dalle accise che continuano a gravare sul prodotto, nonostante il pressing delle associazioni dei produttori, che ne chiedono la riduzione.
“La pressione fiscale può essere un forte ostacolo per chi decide di aprire un birrificio. Le tasse sono molto alte e per l’acquisto delle materie prime occorre rivolgersi al mercato del Nord Europa, con tutto ciò che il costo del trasporto comporta. Colpa anche del fatto che storicamente l’Italia non è un paese a vocazione brassicola; niente a che vedere con la tradizione vinicola, sebbene produrre birra sia molto più facile ma non per questo alla portata di tutti”, spiega Mimmo La Gioia, che sottolinea quanto lo studio approfondito delle materie prime, dei meccanismi produttivi, degli aspetti organolettici, senza contare tutta la parte normativa che regola il settore, sia fondamentale per evitare il rischio di improvvisarsi e mettere sul mercato un prodotto destinato a fare la fine di una meteora. Il cammino dei due giovani fondatori di Mongibello Birre è partito proprio dalla formazione al Cerb, Centro d’eccellenza per la ricerca sulla birra, di Perugia, per acquisire la qualifica di beer sommelier. E da qui, altri corsi di specializzazione fino ad arrivare alla prima spillatura.
In cantiere hanno già messo la terza birra, la Blanche emblema della tradizione birraia fiamminga, belga e francese, con cui puntano a fare il “salto” solleticando i palati più raffinati ed esperti. Gioco forza, quello sfornato dai microbirrifici artigianali è un prodotto di nicchia, che arriva nei boccali a un prezzo medio-alto e che finisce soprattutto sulle tavole di pub e ristoranti. Il consumo domestico resta uno dei fianchi scoperti di questo segmento produttivo. L’Italia sconta ancora un gap culturale; per molti, la birra è considerata una bevanda di serie B e un semplice prodotto alcolico, nel senso meno nobile del termine. Roba con cui gozzovigliare a buon prezzo e ottima per digerire meglio la pizza o robusti piatti pieni di intingoli e fritture.
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