La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento nazionale non poteva partire peggio di come è partita; ciò perché tutti i leader dei maggiori partiti sembrano impegnati in una sorta di gara a chi la spara più grossa e non, invece, come sarebbe auspicabile a trovare gli argomenti giusti per motivare chi non è andato a votare a recarsi il 4 marzo alle urne e ad elaborare un progetto, una proposta in grado di dare una prospettiva al Paese; in particolare a quella parte della Penisola che non ha beneficiato della cosiddetta ripresa economica.
I Cinquestelle con il loro leader Luigi Di Maio, dopo aver promesso di ridurre il rapporto debito/PIL di quaranta punti percentuali in dieci anni (Impresa a dir poco titanica), propongono il reddito di cittadinanza: settecentoottanta euro al mese a chi è senza lavoro; Forza Italia con il suo deus ex machina, l’immarcescibile Berlusconi – non contento di avere già promesso mille euro a chi ha una pensione al minimo – per non apparire da meno rispetto al capo pantestellato sostiene che settecentoottanta euro sono pochi e che lui, in caso di vittoria alle elezioni, li porterà a mille euro; il capo assoluto del Partito Democratico, Matteo Renzi promette di abolire il canone Rai, dimenticandosi che fu lui stesso a farlo inserire nella bolletta della luce (con l’intenzione – disse allora – di far pagare in questo modo gli evasori, con il risultato che adesso pagano anche quelli che non possiedono un televisore); l’ultimo arrivato nella schiera dei capi partito, il presidente Pietro Grasso che guida la formazione Liberi e Uguali promette la cancellazione delle tasse universitarie. Una proposta, quest’ultima, che forse ha il merito di porre la questione del diritto allo studio e della gratuità dell’istruzione pubblica anche a livello universitario, ma considerato che è già esentato chi ha un reddito inferiore a tredicimila euro a beneneficiarne sarebbero i percettori di un reddito superiore.
Naturalmente nessuno di questi signori si preoccupa di indicare la copertura finanziaria,nè tantomeno mette in conto che nel 2019, solo per evitare l’aumento dell’IVA, occorre trovare ben 15 miliardi di euro.
Non mi soffermo sulla promessa del capo della Lega, Matteo Salvini – seguito in queste ultime ore da Di Maio- di abolire la legge Fornero perché mi sembra un ballon d’essai in considerazione dell’impatto che avrebbe una idea del genere sui conti pubblici, circa 17 miliardi l’anno.
Quindi allo stato attuale l’epicentro della campagna elettorale è rappresentato solo da promesse… promesse … e solo promesse. Un festival di amenità! Una vera e propria vergogna che alimenterà ulteriormente la sfiducia nei confronti di partiti e istituzioni e l’astensionismo, sancendo, nel contempo, il fallimento di un intero ceto politico.
Un ceto politico che fallisce non solo perché si è rivelato incapace di mantenere fede alle premesse sulle quali si era fondata la cosiddetta seconda repubblica, ma anche perché aveva pronosticato per gli italiani, in particolare per le classi medie- grazie alla globalizzazione – un futuro di opportunità, benessere e ricchezza e,invece, si è verificato esattamente il contrario. Ma fallisce anche per l’assoluta mancanza di di idee e progetti in grado di modificare la realtà del Mezzogiorno dove la pressione fiscale è aumentata di più, in sede locale, l’intervento pubblico si è ridotto in modo significativo nella Sanità, nell’Università e negli enti locali (questi ultimi non hanno più i soldi per incidere sui bisogni delle loro comunità e di conseguenza cresce l’esclusione sociale e la marginalità); un Mezzogiorno dove la crisi è stata più forte che nel Centro-Nord, e la ripresa sinora è stata poca cosa, sia a livello territoriale che sociale.Ciò è testimoniato dal fatto che nel 2007 nel Sud c’erano circa sei milioni e mezzo di occupati e due milioni e mezzo di disoccupati.Dieci anni dopo gli occupati sono scesi a circa sei milioni e i disoccupati hanno raggiunto la soglia di tre milioni e mezzo.
Un ceto politico che tenta di sopravvivere nonostante tutto, continuando a suonare la stessa musica senza accorgersi che questo spartito non incanta più nessuno, anzi rischia di dare ancor più fiato alle trombe del populismo e di alimentare nel Sud un sentimento di rabbia e di vera e propria vendetta da parte di chi si ritiene dimenticato, una vendetta contro tutto e tutti.
Quindi per evitare questa deriva occorre discutere seriamente, al presente però e non al futuro, dei diritti e dei doveri dei cittadini, delle loro vite, delle loro prospettive, delle loro speranze e aspirazioni.
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