La Patagonia australe, le Ande e la fine del mondo
La Peninsula Valdes, Porto Piramides, l’Isola degli uccelli sono dei posti stupendi che suscitano per la loro bellezza un’emozione indescrivibile che ti fa dimenticare il forte vento freddo che ti entra nelle ossa e impedisce alle barche di lasciare il porto per andare incontro alle balene; ma ti rende quasi felice la sola possibilità di guardare dall’alto di un promontorio – a distanza di cento o centocinquanta metri – un elefante che se ne sta tutto sdraiato su uno scoglio, alcuni leoni marini e un cormorano che volteggia sulle nostre teste, incurante del vento gelido che soffia senza pietà .
L’indomani Nunzio ci accompagna a Trellew da dove in aereo proseguiamo per El Calafate, l’estremità australe della Patagonia, l’importante meta turistica dalla quale si raggiunge il Perito Moreno, uno dei ghiacciai più visitati al mondo e Hshuaia, la località conosciuta come “la città della fine del mondo” oltre la quale non c’è più niente: solo l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico.
La cittadina, il cui nome deriva da un piccolo arbusto dai fiori gialli molto comune in Patagonia, si presenta ai nostri occhi bella e pulita; con un arredo urbano fatto di carrozze e calessi d’epoca; popolata da tantissimi cani in salute che passeggiano quieti e indisturbati o se ne stanno a dormicchiare davanti agli esercizi commerciali, senza che questo susciti la benché minima preoccupazione tra i passanti.
A El Calafate ci fermiamo tre giorni per visitare il ghiacciaio che si estende per più di sette chilometri e che raggiunge un’altezza di sessanta metri; per arrivarci costeggiamo per un lungo tratto il Lago Argentino e buona parte del Parco.
Mi colpiscono positivamente la bellezza dei paesaggi e la natura assolutamente incontaminata: non si vede in giro né una cicca di sigaretta né un pezzo di carta.
Vedere a poche decine di metri il Perito Moreno e udire i continui boati causati dal distacco di enormi blocchi di ghiaccio che piombano nel lago è uno spettacolo stupendo, un miracolo della natura che mi intimorisce e mi emoziona facendomi ritrovare una pace interiore che avevo quasi dimenticato.
Lasciamo El Calafate dove siamo stati benissimo e, come suol dirsi, abbiamo ricaricato le batterie (l’unica delusione è stata la qualità del cordero patagonico mangiato a “La Tablita”, che non è stata all’altezza della sua fama), e ci dirigiamo con un volo delle aerolinee argentine a San Carlos de Bariloche.
Arrivati a destinazione ai nostri occhi si presenta una cittadina situata alle pendici delle Ande con un bel centro civico, impreziosito da una cattedrale in stile neogotico; un luogo soprannominato la Svizzera dell’Argentina, non solo perché con la Svizzera condivide la maestria nella lavorazione del cioccolato ( ogni anno a Pasqua viene celebrato il festival del cioccolato), ma anche perché ha l’aspetto di una città alpina, ricca di tantissimi chalet.
In questo posto incantevole, immerso in un paesaggio che offre tutte le meraviglie naturali dell’Argentina, ci fermiamo per tre giorni. Il paesaggio è dominato dal monte Cerro Cattedral, centro sciistico di fama internazionale (dal quale si vede un panorama mozzafiato: le Ande che si specchiano nel lago Nahuel Huapi), scelto dopo la seconda guerra mondiale come rifugio da alcuni ex nazisti, tra cui Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine – forse per la somiglianza con le cime innevate delle alpi e con la Foresta Nera –.
Durante il nostro soggiorno visitiamo il parco, la catena dei laghi andini – specchi d’acqua circondati da paesaggi inebrianti, di inestimabile bellezza – e San Martin de los Andes, un angolo di paradiso a poche decine di chilometri dal Cile; un luogo arrampicato sulle rive del suggestivo lago Lácar, dove si svolge la fiera annuale degli uccelli del Sud America e dove si possono gustare piatti di pesce molto prelibati.
(la quinta parte del reportage prosegue domani)