Luce e grano: Santa Lucia nella tradizione siciliana

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«Santa Lucia
Pani vurria
Pani nu nn’haiu:
Accussì mi staju»
[Giuseppe Pitrè] 

La Vergine e martire Lucia è una delle figure più care alla devozione Cristiana: Il 13 dicembre ricorre la festa in onore della Santa patrona della città di Siracusa, dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti, invocata contro le malattie degli occhi e le carestie. 

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La storia di Lucia è davvero straordinaria: una ragazza cristiana, di famiglia benestante, orfana di padre, nata a Siracusa intorno all’anno 281, fidanzata con un giovane concittadino. Durante un pellegrinaggio sulla tomba di Sant’Agata per implorare la guarigione della madre, in uno stato di estasi, le apparve la Santa Catanese, che le profetizzò il martirio chiedendole di dedicare la propria vita ai più poveri, ai piccoli emarginati e sofferenti. Tornata a Siracusa mise in atto questo progetto, Il fidanzato abbandonato la denunciò al prefetto Pascasio: Lucia fu così arrestata con l’accusa di essere cristiana e venne decapitata  il 13 dicembre 304. Un altro particolare interessante riguarda le torture subite durante il martirio, tra le altre, la condanna al postribolo e il presunto accecamento. Entrambe si concludono positivamente: non riescono a portala al postribolo perché diviene come “una colonna immobile”  e gli occhi ricrescono miracolosamente ed ancor più belli. Il nome Lucia, dalla radice latina lux, lucis, la donna che porta il dono della luce, segno e promessa di luce spirituale durante quella che è considerata la notte più lunga dell’anno. Viene raffigurata con in mano un piatto sul quale riposano gli occhi o con il giglio, la palma, il libro del Vangelo. Il sentimento comune che vuole che Santa Lucia aiuti la vista è confermato dal Pitrè che scrive che “serba sani gli occhi dei suoi devoti”, che rinunciano a mangiare pane e pasta il 13 dicembre. 

Ma perché per Santa Lucia….si mangia la cuccìa ?

A lei si deve la fine della terribile carestia che aveva colpito la città a metà del XVII secolo. Tradizione vuole che il 13 dicembre 1646, nel giorno di commemorazione della santa, una nave carica di frumento e altri cereali sbarcò al porto di Palermo (una leggenda analoga racconta che lo sbarco avvenne a Siracusa nel mese di maggio, da qui la festa di Santa Lucia delle quaglie) attuando il miracolo che i cittadini avevano tanto atteso. I palermitani da diversi mesi in carestia, non molirono il grano per farne farina, ma lo bollirono, per sfamarsi in minor tempo, aggiungendogli soltanto un filo d’olio, creando così la “cuccìa”. Da quella volta i palermitani ogni anno per devozione ricordano solennemente l’evento, rigorosamente ricorrono all’astensione per l’intera giornata dal consumare farinacei, sia pane che pasta.

All’occasione quasi tutti i panifici della città rimangono chiusi e, a predominare sul territorio rimangono le numerose friggitorie sia quelle stabili che quelle ambulanti che vendono “panelle di ceci” e di “crocchè”. In questo giorno per Santa Lucia “si cuccìa” ( “cucciàri” derivato da “còcciu” cosa piccola, chicco). Anticamente, però, la devozione alla Santa si manifestava esclusivamente mangiando  cuccìa nella sua versione salata: il frumento veniva cotto con il sale e vi si aggiungevano i ceci, condendo con ricotta salata grattugiata e olio e distribuita per tradizione a familiari, amici e vicini di casa.

La cuccìa è dunque un piatto denso di storia: fatto di semi non macinati e non contabili singolarmente, sembra indicare proprio la prosperità e l’abbondanza. Il fatto che in alcuni paesi si sia dolcificata la cuccìa (con mosto, vino cotto, zuccata, cioccolato, creme, ricotta dolce o altro) non fa venir meno il valore simbolico che le attribuiamo, anzi lo potenzia. Il dolce infatti è da sempre al centro dei cibi che prospettano benessere essendo espressione massima dell’abbondanza.

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