Si tornerà a fare il pane in casa oppure, come già si faceva una volta, il sabato si compra qualche panino in più in modo da avere la scorta per la domenica. Sono cambiati usi e costumi, siamo entrati nell’era in cui tutto deve essere sempre aperto: supermercati fino a mezzanotte, centri commerciali che ci devono accogliere anche per Natale, Pasqua, Festa dei Lavoratori e tutti i giorni rossi che, solitamente, sono destinati al riposo e alla famiglia. E in questa scia da qualche anno anche i panifici aperti: ricordo che da piccola il mercoledì a pranzo si comprava più pane perché poi il pomeriggio c’era il riposo settimanale e se si gradiva gustare un panino anche la sera era opportuno organizzarsi entro pranzo.
Nessuno di noi è mai morto di fame, nessuno è rimasto senza pane.
Poi, appunto, ha cominciato man mano a prendere piede l’apertura tutta la settimana, compresa la domenica. E adesso è diventata abitudine, forse difficile da scardinare tant’è che – dopo un decreto regionale che dice stop alla panificazione domenicale – qualche malumore comincia a farsi sentire. Perché, come dicono gli esponenti delle categorie, il decreto è stato approvato senza criterio, senza ascoltare davvero chi opera nel settore e senza attenzionare le reali esigenze di produttori e consumatori. E ancora una volta si è combinato un gran pasticcio.
Il Decreto emanato dall’Assessore regionale per le attività produttive prevede il divieto di panificazione nelle giornate domenicali e festive, disponendo la turnazione dell’attività di panificazione tra le aziende di ogni Comune. Le nuove disposizioni normative prevedono un’apposita ordinanza comunale del Sindaco, al fine di far rispettare, con costanti e puntuali controlli, la turnazione domenicale e nei festivi per assicurare comunque alla cittadinanza l’approvvigionamento di pane fresco. Ma allo studio ci sono anche iniziative nel caso in cui dovesse prevalere una maggioranza che vuole restare aperta ad ogni costo.
Per questo motivo la Confcommercio sta ascoltando i suoi associati in tutte le province della Sicilia.
La Cna siracusana, dal canto suo, parla di “importante passo in avanti, seppur disarmonico e non perfettamente in linea con l’evoluzione delle normative in materia. E poi, per tempistica e modalità, sa quasi di colpo di mano”.
La scelta dell’uscente governo Crocetta di affidare a un decreto assessoriale la disciplina del lavoro dei panificatori nell’isola è, tuttavia, considerata dalla Cna “Un’accelerazione improvvisa – afferma il presidente provinciale dei panificatori Amato – con cui l’Assessore alle Attività produttive ha deciso di ripescare, quasi in toto, un disegno di legge del 2013, che era rimasto fermo nella competente commissione all’Ars, certamente un po’ datato. Ignorando, di fatto, un altro disegno di legge che era stato invece parzialmente approvato da sala d’Ercole tre anni dopo, inevitabilmente più aggiornato e quindi meglio rispondente alle esigenze degli operatori del settore. Fermo restano che in entrambe le stesure la Cna ha avuto un ruolo di primo piano – sottolinea Amato – è palese però che il provvedimento, invocato da tempo, avrebbe potuto armonizzare, in modo più efficace e completo, le aspettative dei panificatori e delle associazioni di categoria. Il decreto ci sembra, ad esempio, in contrasto con la direttiva Bolkestein, il cui obiettivo è quello di favorire la libera circolazione dei servizi e l’abbattimento delle barriere tra i paesi. I divieti imposti, legati alle giornate domenicali e festive, vanno in ben altra direzione. Così come non figura l’opportuna valorizzazione del pane tipico siciliano, attraverso la creazione di marchi di qualità, e non trova riscontro – osserva ancora Amato – la mancata abrogazione dell’articolo 27 della legge regionale del 23 dicembre del 2000 n°30 che assimila l’attività di panificazione a un’attività commerciale e non a un’attività artigianale. Non appena si insedierà, dopo il governo regionale anche il nuovo parlamento, insieme ai vertici regionali della Cna – il presidente Battiato e il segretario Giglione – torneremo all’attacco su un’altra nostra proposta, da incardinare nell’ambito del Testo Unico sulle Attività Produttive, che consentirebbe ai produttori, superando la richiesta dell’autorizzazione amministrativa, di somministrare i propri beni direttamente al consumatore finale”.