Sambuca di Sicilia il comune eletto borgo più bello d’Italia nel 2016, intreccio tra diverse culture, quella araba e quella europea, continua a fare rivivere il pittore-poeta Giovanni Gianbecchina intitolando a lui la nuova sede dell’accademia delle Belle Arti di Agrigento inaugurata il 25 settembre scorso, dove verranno avviati laboratori, master accademici e corsi di perfezionamento e aggiornamento. Il piccolo borgo si è dunque aperto a polo di formazione universitaria con una sede dell’Accademia intitolata a Gianbecchina, celebrando un pittore popolare che amò così tanto la sua terra da saperne dipingere l’anima in tutti i suoi innumerevoli profili.
«Materia della mia pittura è la terra siciliana nella quale respiro quando vago tra i campi biondi di messi oltre le distese viola di sulla, oppure riposo all’ ombra degli ulivi d’ argento o contemplo l’ azzurro profondo del cielo e del mare. In questa terra io non cerco idillico rifugio, ma vado scoprendo la misura e la bellezza della Grecia pagana, la tenacia degli arabi, l’ intraprendenza dei normanni, l’ esuberanza degli spagnoli, la somma dei caratteri che costituiscono il nostro popolo. Cerco soprattutto nella fatica quotidiana degli uomini, nello sguardo delle madri, nel sorriso dei bambini, l’ eredità antica della civiltà contadina che va scomparendo… Questa saggezza di una civiltà millenaria è la materia del mio canto. A questa terra che soffre e che vive nel volgere di ogni stagione appartengono i miei colori».
Così scriveva Giovanni Gianbecchina, uno degli artisti siciliani più significativi del ‘900. Oltre 80 anni di pittura, dal 1918 al 2001, segnano un percorso unico attraverso i colori, le tradizioni e la cultura della sua Sicilia. La storia di Gianbecchina, così profondamente legato alla sua terra e alle vicende della sua gente comincia con una emigrazione: i genitori partono per l’America nel 1912 e lasciano il bambino di soli tre anni affidato a uno zio che curerà la sua prima istruzione. La sua arte si caratterizza per il suo spiccato interesse sociale e morale che lo porta a rappresentare per lo più la quotidianità e i valori di contadini e pescatori, ma con una tecnica e uno stile talmente poetici e potenti da spingere il professore Natale Tedesco a parlare di espressionismo mediterraneo.
Paesaggi rurali, scene di pesca, pascoli, vendemmie, storie di uomini e donne che lavorano i campi: questi sono i temi principali delle opere di Gianbecchina. Le sue opere rappresentano un inno solenne al duro lavoro che umanizza, trasforma rende fruttuoso; il contadino rimane sempre indiscusso protagonista delle sue opere con le cicatrici, i segni della fatica e dei dolori che ne incidono il volto, di cui si avvede la presenza anche nei paesaggi deserti. Una presenza siciliana con il fardello delle illusioni e delusioni, una umanità frustata e sofferta, un popolo mai rassegnato, neanche di fronte al dramma della guerra, della povertà e delle fatiche del lavoro dei campi. Osservando le mutazioni della natura, l’ abilità degli artigiani, il sudore dei contadini, le bizze degli animali, il miracolo della vita che si rigenera minuto dopo minuto, alla faccia della miseria il pittore ci restituisce quelle tonalità e quei movimenti catturati dagli occhi e subito incamerati nella sua memoria, il tutto con colori limpidi e i timbri accesi che concedono effetti vellutati pur se facenti parte di un impasto cromatico ricco e vario capace di catturare l’osservatore.
La gente e la terra di Sicilia rappresentano lo sfondo sul quale si profila la narrazione di quelle tradizioni che tendono a scomparire a causa dell’incalzare dell’era della tecnica. La“Mattanza”, l’“Età della falce”, “Vendemmia a Castellazzo e l’intero “Ciclo del pane” un esempio perfetto della raffigurazione dei valori popolari e dell’antica eredità contadina. A partire all’incirca dalla metà degli anni settanta si dedica a una serie di dipinti che immortalano un rito antico e già allora sulla via della dimenticanza.
Le opere raccontano tutte le fasi di lavoro che portano alla produzione del pane, cibo primario per il sostentamento e simbolo di vita e rinascita. Dall’aratura dei campi alla semina e mietitura del grano, fino all’impasto e alla cottura nei forni di pietra a legna, ogni passo è descritto dalle pennellate decise e dai colori caldi e intensi dell’arte di Gianbecchina: un documento alla memoria dei posteri per la conoscenza di un patrimonio culturale in estinzione, ma anche un tentativo di mediazione tra passato e presente, un atto etico di ammonimento affinché i valori di umanità e di saggezza non si perdano ma vengano trasmessi in una rinnovata condizione umana in un mondo dove la cultura della pace possa trionfare sulla cultura della violenza e della guerra.