Il teorico della “decrescita” Latouche ospite di Legambiente a Modica: “Dobbiamo provare a reincantare il mondo”

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MODICA (RG) – “Il progetto di uscire dalla società di crescita, uscire dalla società dei consumi, uscire dall’economia, il ritrovare il sociale o meglio ancora il societale. E’ il messaggio che cerco di trasmettere a tutti. Questa rivoluzione è prima di tutto una rivoluzione culturale, ma che non si può decidere dall’oggi al domani, è un lungo processo storico. Quando ho iniziato a fare delle conferenze sulla decrescita ho pensato che si doveva cambiare strada prima del collasso, ma ora sono sempre più pessimista, penso che non eviteremo il collasso, dobbiamo prepararci al dopo collasso e speriamo che il collasso non sia un collasso totale e che ci sia la possibilità per l’umanità di avere un futuro, di inventare un nuovo futuro”.

 

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Parola di Serge Latouche che, quindi, rimarca: “Per salvare il pianeta serve una decrescita”. Il filosofo ed economista francese, erede del pensiero di Karl Polanyi e Ivan Illich, ha elaborato negli anni un’analisi critica dell’economia occidentale, fatalmente destinata al collasso, e ha articolato una prospettiva economica alternativa che, proprio per l’inversione di tendenza che propone, dallo stesso è stata definita «decrescita». Il filosofo è stato ospite ai lavori di un convegno tenutosi a Modica, a Santa Maria del Gesù, per iniziativa dei circoli iblei di Legambiente. Tantissime le persone che hanno partecipato. A partire da queste premesse Latouche, professore emerito di scienze economiche dell’Università Parigi-Sud ha sviluppato un tema più che attuale, la rivincita di Gaia (dall’omonimo libro dello scienziato inglese James Lovelock), mettendo in luce il carattere emergenziale del cambiamento climatico e delle catastrofi ambientali cui ormai, purtroppo, siamo da anni abituati, e denunciando le responsabilità di un’economia liberista illimitata ed irresponsabile. Quale spazio, dunque, ammesso che ve ne sia, per la speranza di un’utopia mediterranea decrescente? “Dobbiamo provare a reincantare il mondo – ha spiegato Latouche – come ha detto Max Weber il capitalismo ha disincantato il mondo, ha distrutto il senso della poesia, dell’arte e della bellezza. E allora a mio avviso ritrovare il senso della bellezza e della poesia è molto importante: non basta uscire dall’utilitarismo dell’economia ma è necessario ritrovare anche un modo di render la vita poesia stessa. Giungere ad abitare il mondo come un poeta: ce l’ha suggerito il poeta Hölderlin”.

 
Ed è proprio il Mediterraneo, culla delle grandi culture latina e greca, che ha visto tempi di lunghe prosperità e che ha gettato le basi su cui si è costruita nei secoli la civiltà occidentale, ad esser minacciata prima di altre di scomparire, di declinare, usando l’espressione dell’autore francese, sotto il peso dell’illimitato, incontenibile sviluppo quantitativo su cui si trascina l’economia neo-liberista. Non nasconde il suo pessimismo, Latouche, sebbene durante il suo intervento sia riuscito a stemperare i toni gravi adottati, citando prima Groucho Marx e poi Woody Allen. Parafrasando quest’ultimo, secondo cui un pessimista è solo un ottimista ben informato, l’autore francese delinea un’apocalittica visione del mondo in prospettiva, da qui ai prossimi cinquant´anni, caratterizzata da un inevitabile collasso sistemico (di quella stessa Gaia che pur adesso pare prendersi importanti rivincite a nostro discapito), sempre che non si riesca già sin d’ora a limitare il produttivismo ipertrofico imposto dalla civiltà capitalistica, imparando una decrescita intesa come senso del limite e come riscoperta di un’Etica perduta, schiacciata sotto il peso dello sviluppo a tutti i costi.

 

Nel corso dell´incontro, inoltre, è stata lanciata da don Giuseppe Di Rosa (parroco a Noto) e dai circoli iblei di Legambiente la proposta di una scuola della decrescita nel territorio sud orientale della Sicilia. “Il semplice fatto di diminuire la pressione dell’economia sulla vita quotidiana sarebbe una straordinaria conquista – ha concluso Latouche – perché con la globalizzazione siamo finiti in un sistema nel quale c’è la guerra di tutti contro tutti”.

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