Munnu ha statu e munnu è. O no?

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In questi ultimi vent’anni in Sicilia certo non può dirsi che siano mancate le risorse per lo sviluppo. Probabilmente ne sarebbero servite di più, ma è fuor di dubbio che vi siano state, a partire dai fondi comunitari. Tuttavia esse non hanno generato lo sviluppo promesso. Neanche in parte.

 

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Perché? Cosa occorre fare affinché gli investimenti generino lo sviluppo? Forse sono mancate alcune precondizioni, in primis la visione strategica e condivisa dello sviluppo e, nel suo contesto, l’attenzione alla crescita della coesione sociale. Questo almeno è il punto di vista che è nato dentro Sicilia 20+, un contenitore di idee che vede attive esperienze diverse del privato sociale e che vuole guardare alla Sicilia dei prossimi vent’anni.

 

L’esperienza dice, infatti, che lo sviluppo presuppone la partecipazione attiva dei cittadini. Più i cittadini partecipano, più c’è fiducia, più c’è capitale sociale, più gli obiettivi comuni sono sentiti come propri dai cittadini, maggiore sarà l’efficacia e il successo delle iniziative per lo sviluppo. Ma come si può chiedere partecipazione ai tanti cittadini (e sono la grande maggioranza) che vivono nelle periferie disagiate delle nostre città o nelle aree rurali marginali senza prima pensare alla risposta alle loro esigenze?

 

Veramente pensiamo che una comunità possa crescere mantenendo inalterate le profonde divisioni che la caratterizzano? La risposta è no. E se la riposta è giusta si deve partire da qui per lanciare ricette di sviluppo. Mettendo al centro chi ha più disagio, individuando come prioritari gli interventi verso chi ha di meno. Partendo dal valorizzare e mettere a sistema le tantissime iniziative lanciate da chi, con cuore e lungimiranza, ha presidiato quelle realtà così difficili, facendo crescere, tra i giovani che le vivono, la consapevolezza che si può favorire il cambiamento e che insieme è più facile farlo. Facendo comprendere che non è vero che “munnu ha statu e munnu è”, non è vero che il cambiamento è impossibile. Non è vero che debba valere la logica del “caliti juncu ca passa la china”, che ci si debba piegare per sopravvivere alle condizioni al contorno. Si guardi allora a quei tanti esempi, forse piccoli ma straordinari, che dicono che si può fare. Che dimostrano che quando i cittadini vengono coinvolti in percorsi di crescita sociale ne diventano i primi custodi. E si faccia di conseguenza l’esatto opposto rispetto a quanto si è fatto finora, soprattutto negli ultimi decenni. Nei quali le amministrazioni pubbliche hanno fatto i bilanci riducendo le spese per interventi sociali. Lo si faccia per fare crescere il capitale sociale, per generare il vero cambiamento. Dando risposta ai bisogni in termini strutturali e non assistenziali.

 

Ma questa attenzione alla crescita della coesione sociale, e qui c’è la seconda questione, deve stare dentro una più ampia visione dello sviluppo in chiave strategica. Anche quest’ultima è stata infatti la grande assente degli ultimi anni. Qual è il progetto di sviluppo della Sicilia che si intende proporre? Qual è la visione strategica sulla quale basare le iniziative per far si che ogni genitore siciliano non debba augurarsi che i propri figli costruiscano il proprio futuro lontano dalla Sicilia? E per rispondere a chi non ha le capacità, le risorse o la fortuna per farlo? Secondo l’Istat con il trend attuale nel 2065 ci saranno in Sicilia un milione di abitanti in meno con un tasso di anzianità che schizzerà verso l’alto. Uno scenario economicamente e socialmente insostenibile che assume dimensioni ancor più preoccupanti se letto insieme al dato del Regional Yearbook 2017 pubblicato da Eurostat, che ha detto che il 41% dei giovani siciliani fra i 18 e i 24 anni non studiano e non cercano lavoro.

 

Non siamo la prima regione nella storia italiana ad avere problemi di questo genere. Le esperienze di altri territori ci dicono che il cambio di rotta è possibile. Ma che occorre, appunto, avere ben chiara la direzione da percorrere, concentrare le risorse sulle relative strategie, riducendo le debolezze e puntando sulle potenzialità. Senza rimanere ai titoli. Se, come si dice sempre, agroalimentare, turismo e innovazione, possono rappresentare il nostro futuro, e certamente possono farlo, bisogna mettere in campo progettualità specifiche, sapere a quali mercati si guarda, coinvolgere gli operatori sugli obiettivi comuni, attuare misure che favoriscano l’aggregazione e organizzazione del prodotto e la sua promozione nell’ambito della strategia regionale. Ed è a questo punto, solo a questo punto, che si deve parlare di investimenti, incentivi e infrastrutture, dopo che sono state definite le strategie. Concentrando gli investimenti sulla crescita della coesione sociale e sugli interventi infrastrutturali, materiali e immateriali, di supporto alle strategie agroalimentari, turistiche e dell’innovazione. Ecco, noi chiediamo tutto questo a chi sarà chiamato a governare la Sicilia nei prossimi anni. Gli chiediamo di guardare al presente pensando al futuro. Come fanno i cittadini e le imprese nella loro quotidianità. Quando un imprenditore lancia una nuova iniziativa ragiona in prospettiva strategica, non pensa all’immediato ma a quello che verrà. E più sarà capace di guardare lontano maggiore sarà la probabilità di successo per la sua impresa. Noi pensiamo che anche nell’amministrazione della cosa pubblica sia così, che sia necessaria la strategia a lungo termine. Insomma, ancora una volta crediamo sia necessario un cambio di rotta rispetto alle pratiche seguite fin qui. Pratiche che ci hanno portati al fallimento dei bilanci degli enti, a partire dalla Regione, e al conseguente aggravarsi dei problemi. Con un distacco dei cittadini dalla politica che è straordinariamente pericoloso. E E a tal proposito è bene che ciascuno di noi abbia ben chiaro che chi non andrà a votare il 5 di novembre avvantaggerà nei fatti il voto assistenziale, il voto di scambio in tutte le sue declinazioni. Cioè premierà proprio quella politica che con l’astensione si vorrebbe condannare, tutta costruita sulla bassa coesione sociale e sull’assenza di strategia.

 

di Gaetano Mancini

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