SICILIA – Tutti i sondaggi sulle elezioni regionali siciliane (a prescindere di quale candidato alla presidenza e-o partito viene dato in calo o in ascesa) convergono su un punto: quasi il 50 per cento degli elettori manifesta la volonta’ di non andare a votare.
Se questo orientamento fosse confermato dal voto del 5 novembre si determinerebbe una situazione paradossale: una minoranza di cittadini deciderebbe per la maggioranza dei siciliani.
Ma chi andrebbe a votare ? Sulla base di tale assunto andrebbero a votare sicuramente tutti quelli che vivono di politica e non sono pochi; quelli che hanno ricevuto un favore da qualche parlamentare o dal potente di turno; chi si aspetta dalla politica un lavoro, una consulenza, un avanzamento di carriera, un incarico professionale, un posto in un consiglio di amministrazione in una delle tante società pubbliche; quanti pensano di arricchirsi in fretta sfruttando il denaro pubblico, entrando in politica o facendo affari con i politici corrotti.
Insomma andrebbero a votare le clientele e coloro i quali hanno beneficiato o pensano di beneficiare dell’assistenzialismo di “mamma” Regione.
Viceversa probabilmente non andrebbe a votare chi non sopporta più i riti e i giri di valzer della politica; quelli che non credono più che l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro e pensa, invece, che sia fondata sull’amico dell’amico; chi aspetta soluzioni a problemi (come quelli del lavoro, dell’impoverimento del ceto medio, del disagio delle periferie dei grandi centri urbani, delle difficolta’ delle imprese) a lungo sottovalutati e ha perso la speranza e,
probabilmente tantissimi giovani, in particolare chi è stato costretto a lasciare la Sicilia in cerca di un lavoro o di un’opportunità di crescita professionale.
Personalmente nutro un grande rispetto nei confronti di coloro i quali sono indignati dello status quo, di chi vede l’uscita della crisi, ripetutamente annunciata e sempre rimandata, come un miraggio, ma senza ergermi a giudice penso che astenersi dal voto non sia la soluzione.
Paradossalmente chi si astiene dal voto rischia di fare un favore a chi vorrebbe osteggiare, vale a dire all’establishment e alle tante caste che si nutrono di cattiva politica, indebolelendo, nel contempo, chi non si rassegna a questo stato di cose e pensa che il talento, il merito e la professionalità vadano sempre premiati; chi ha voglia di buon governo esercitato con mani pulite; quelli che sono animati da forti tensioni ideali e morali; quanti vorrebbero restare nella loro terra e vorrebbero lasciare l’Isola per scelta e non per bisogno; coloro i quali credono ancora in una funzione positiva della politica e a partiti che trovano linfa e vigore non nelle consorterie, ma in regole interne improntate alla partecipazione e alla democrazia e nel loro radicamento nel territorio e negli interessi diffusi; chi lotta per liberare la Sicilia dalle lobby, dalla corruzione e dalla mafia.
Poiché il voto rappresenta un momento necessario, ma non sufficiente della democrazia attraverso cui i cittadini prendono decisioni (una autentica vita democratica si concretizza anche nell’accesso a una informazione pluralista e trasparente, nella partecipazione permanente e consapevole dei cittadini, nel confronto tra le diverse posizioni in campo) penso che se la maggioranza dei cittadini si astiene dall’esercizio di questo diritto-dovere a decidere sarà una minoranza. Anche quando chi si candida a governare la Sicilia viene meno (così sembra sinora, tranne qualche eccezione) al suo dovere di presentare un programma che consenta al cittadino-elettore di sciegliere tra opzioni diverse.
Quindi parafrasando una enunciazione dello scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafon concludo dicendo: “Chi non sa dove è diretto non arriva da nessuna parte”. E chi non vota, a mio giudizio, non arriva da nessuna parte, anzi senza volerlo consentirà a una minoranza di raggiungere una meta che non è scontato sia quella giusta.
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