"Per pensare il futuro della Sicilia occorre rifiutare il presente"

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SICILIA – Sull’attività e sulla qualità della produzione legislativa dell’Assemblea regionale siciliana si possono avere opinioni diverse. Infatti c’è chi pensa che la legislatura che sta per concludersi abbia lavorato poco e abbia prodotto norme di scarsa utilità, comunque non in grado di incontrarsi e risolvere i problemi veri dell’Isola e c’è, invece, chi pensa il contrario vale a dire che l’Ars abbia lavorato tanto e sia stata all’altezza delle aspettative dei siciliani.
Quello che è certo, a prescindere delle diverse opinioni, è che la XVI legislatura si sta concludendo in modo assolutamente inglorioso.
Ciò si desume: a) dall’assenza dei parlamentari alla seduta che doveva approvare la legge sulla fusione del CAS e dell’ANAS, propedeutica alla gestione delle autostrade siciliane che è andata deserta; b) dall’approvazione della norma che ripristina le province, la cui cancellazione era stata annunciata dal presidente Crocetta in una nota trasmissione televisiva nazionale (in verità non si tratta della riedizione della “vecchia “istituzione provinciale, bensì della reintroduzione da un lato dell’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri dei Liberi Consorzi e delle Aree Metropolitane e dall’altro della reintroduzione dei gettoni di presenza, insomma di due cose non contemplate nella legge nazionale); c) dalla bocciatura, con una maggioranza bulgara, di un emendamento finalizzato a recepire la legge dello Stato sui controlli delle spese elettorali, che prevede l’incadidabilità di chi ha subìto una condanna da parte della Corte dei Conti e non ha regolarizzato la sua posizione. Quindi, in assenza di questa norma, in Sicilia si potrà candidare chiunque e nessuno potrà controllare eventuali pendenze con la magistratura contabile.
Tutti questi atti dell’Ars ripropongono il tema dell’Autonomia Speciale di cui gode la Sicilia (che ricordo a me stesso è stata una conquista del popolo siciliano e non una concessione dello Stato) e costringono a fare i conti con chi ne chiede un drastico ridimensionamento o addirittura l’abolizione.
Uno strumento, quello dell’Automomia grazie al quale è stato riconosciuto all’Isola sin dal 1946 un’ampia autonomia politica, legislativa, amministrativa e finanziaria; accompagnata da una competenza esclusiva su alcune materie come i beni culturali, l’agricoltura, la pesca, gli enti locali, l’ambiente, il turismo e la polizia forestale. Stabilendo, nel contempo, in materia finanziaria che il gettito dei tributi statali riscossi nel nostro territorio restasse in Sicilia e che lo Stato versasse alla Regione un contributo annuale a titolo di solidarietà nazionale.
Purtroppo però quello che doveva essere uno strumento di sviluppo e di crescita democratica si è trasformato in un paravento dietro il quale nascondere privilegi e nefandezze di ogni sorta e in un dispensatore di regalie a clienti ed amici.
Ecco perché l’Autonomia Speciale è caduta nella considerazione dell’opinione pubblica nazionale e nei cuori di tantissimi siciliani. Ma questo non significa che la specialità del nostro Statuto sia stata portatrice solo di cattiva politica, al contrario quando ci sono stati protagonisti all’altezza del compito, movimenti di massa significativi come quelli che coinvolsero braccianti e contadini, artigiani e cooperatori, ambientalisti e una società civile in grado di pungolare positivamente i propri rappresentanti i risultati si sono visti.
Tra questi ricordo: la riforma agraria negli anni cinquanta (nonostante i suoi limiti la rottura del latifondo per braccianti e contadini poveri rappresentò il riconoscimento della loro dignità di uomini e nuovi diritti); le leggi a favore della cooperazione e dell’artigianato con l’istituzione dell’Ircac e della Crias che all’epoca furono considerate unanimemente norme di avanguardia; le leggi a difesa dell’ambiente con l’istituzione dei parchi naturali che hanno consentito di salvare zone importanti come la costa dello Zingaro, il lago di Vendicari, ecc; l’assegno ai lavoratori anziani senza pensione che fu giudicato il primo embrione di pensione sociale; le norme a favore della forestazione, dell’agrumicoltura, l’affermazione del principio della “Regione delle carte in regola”, varate durante il periodo della Solidarietà Autonomistica (i cui attori principali furono l’onorevole Piersanti Mattarella,allora presidente della Regione e il partito comunista siciliano).
Sarebbe un errore, però pensare che la crisi dell’Autonomia sia figlia di questi anni recenti o che sia riconducibile alla mancata attuazione di alcune norme dello Statuto come sostengono i difensori ad oltranza. Basti pensare che il filosofo del diritto, Pietro Barcellona (di cui mi onoro di essere stato amico) nel maggio del 1984, in occasione di un convegno organizzato dal Cepes diretto dal senatore Nicola Cipolla, scomparso recentemente, concludeva il suo intervento con questa affermazione: “Per pensare il futuro della Sicilia occorre rifiutare il presente”.
Una affermazione con una forte venatura di pessimismo,tipica dei grandi intellettuali,ma assolutamente attuale.
Sfuggire alle sirene populiste e disfattiste che vedono nell’Autonomia una sorta di vergogna da cancellare è possibile a condizione, però, che si cambi radicalmente prospettiva e regole, anche per quando riguarda l’Autonomia. Un cambiamento che si potrà realizzare se si è consapevoli di quali sono state le criticità, di quali sono state le patologie che in questi settantuno anni di autonomia hanno portato al collasso la Sicilia.
Le forze politiche ed i candidati che si presentano ai nastri di partenza ed ambiscono a governare la Regione se vogliono evitare il baratro nel quale sta precipitando la nostra Isola non possono glissare su un tema come quello dell’Autonomia e di un suo necessario e profondo ripensamento,pena la vittoria di disfattisti e populisti.
di Salvatore Bonura
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