Recentemente il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha dichiarato che il Governo stanzierà circa 2 miliardi di euro per finanziare un bonus per le aziende (sotto forma di sgravi fiscali) che assumeranno giovani. Non è ancora stabilito, ma sembra che la misura sarà rivolta alle assunzioni di giovani sino a 29 o 32 anni. Il Ministro ha dichiarato che così facendo si creeranno circa 300.000 posti di lavoro. La misura sarà rivolta solo ai neoassunti, quindi per accedere alle nuove agevolazioni non si potrà assumere un lavoratore che è stato in forza all’azienda con un contratto a tempo determinato. Inoltre, è stato annunciato che ci saranno misure volte ad evitare licenziamenti di lavoratori che abbiano esaurito gli sgravi per assumerne altri con il nuovo incentivo. Lo sgravio, secondo quanto spiegano i tecnici vicini al dossier, dovrebbe essere per il 50% dei contributi fino a un limite di 3.250 euro annui per due anni seguito da uno sgravio contributivo fiscalizzato di circa il 3% strutturale.
La misura tuttavia rischia di essere un aiuto alle aziende in crescita con necessitò di assumere (e che comunque assumerebbe) e di non risolvere i problemi delle aziende che si trovano difficoltà. La misura dei bonus può – forse – andar bene in un’economia in crescita, per aumentarne esponenzialmente la velocità della crescita; ma un economia come quella italiana appare tutt’altro che in crescita se si pensa che chiudono 2 aziende all’ora, 54 aziende al giorno. Numeri che ci consegnano un quadro drammatico. Il contesto attuale vede migliaia di aziende, per lo più PMI, indebitate sino ai denti per i mancati rimborsi IVA (usati ormai alla stregua di un finanziamento in assenza del contributo della Banche, ormai latitanti), mancati o ritardati pagamenti, difficoltà di assolvere ai contributi del personale con il conseguente rischio di non regolarità del DURC, ecc. ecc. Alla fine di questo tunnel trovano immancabilmente Equitalia. Del resto anche la misura di rottamazione delle cartelle varata dallo scorso Governo, di per sé un’ottima occasione, è stata pensata per aziende che disponessero di liquidità e dimensioni sufficienti a poter pagare il debito quasi dimezzandolo in 5 rate da pagare in due anni. Davvero troppo per una piccola impresa.
La stessa logica è sottosa al bonus assunzioni, almeno nella forma dichiarata alla stampa. La maggior parte delle aziende in difficoltà ha il problema di come mantenere assunto il personale già in forza. Semmai servirebbero maggiori risorse per i fondi formativi interprofessionali (ad oggi alimentati dai versamenti INPS delle aziende), allo scopo di formare il personale, che in molti casi diventa sempre più inadeguato a gestire o accompagnare i necessari processi di innovazione. E a tal proposito servirebbero maggiori risorse (e minore burocrazia!) per rinnovare i processi produttivi e di commercializzazione (qualcosa in questo senso è stato messo in campo dalla Regione Toscana ad esempio).
Allora, invece di bonus, insieme a importanti finanziamenti per l’innovazione e la formazione, oltre al necessario contributo della banche, che continua a latitare nonostante tutte le mosse in loro favore messe in campo dalla BCE, servirebbe che lo stato operasse sui debiti delle società, poiché molte realtà sono ancora in grado di stare sul mercato ma si portano sulle spalle una massa debitoria lunga almeno un decennio che rende ingestibile anche una situazione che non presenti più deficit. Basti pensare che Equitalia ha da gestire 817 miliardi di debiti, di cui 147,4 miliardi sono dovuti da soggetti falliti e 85 da persone decedute e imprese cessate. Ma il dato più preoccupante è che Equitalia stima che solo per il 6% c’è possibilità di recupero. E’ chiaro che, come per un’azienda, anche lo Stato non può permettersi da un anno all’altro di trasformare i crediti in crediti inesigibili e quindi in passività, suonerebbe anche come un incoraggiamento all’evasione fiscale, ma è anche chiaro che il meccanismo di riscossione dello Stato lo ha già oggi portato a perdereli quei 147,4 miliardi dovuti dai soggetti falliti, che ovviamente non potranno assolvere ai propri debiti. Allora, se non si può fare un condono (nonostante si viva nel Paese dei condoni edilizi per tutte le stagioni) perché suonerebbe come un improprio aiuto di Stato alle aziende, almeno si riproponga notevolmente modificata la rottamazione delle cartelle (va almeno estesa a 10 anni la rateizzazione) e si modifichino seriamente e una volta per tutte non solo gli interessi di mora ma soprattutto i requisiti di accesso alla formula di “azienda in crisi” che permetterebbe tempi di rateizzazione maggiori rispetto a quelli a cui sono soggette la maggior parte delle aziende. Questo per i soggetti fallibili. Ma andrebbe anche modificato l’art 1 della Legge Fallimentare, che definisce i soggetti non fallibili (ricavi lordi, calcolati sulla base degli ultimi tre anni, per un ammontare complessivo annuo non
superiore a euro 200.000) i quali possono ricorrere al cosiddetto “procedimento di composizione della crisi da sovra indebitamento” (Legge n. 3 del 2012, modificata dal D.L. 179/2012 convertito dalla Legge n. 221/2012). Questo strumento, molto meno oneroso e quindi più accessibile rispetto ad un concordato preventivo, pone particolare attenzione alle difficoltà economiche del debitore, confrontando la sua reale disponibilità economica con il complesso dei debiti.
Ecco la proposta, se si vuole fare sul serio e si vogliono aiutare concretamente le PMI ad uscire dalla spirale della crisi. Per i palliativi o gli aiuti alla crescita della grandi aziende si proceda con i bonus.
di Giuseppe Emiliano Bonura
Manager e Direttore dell’Osservatorio Internazionale sull’Impresa (OII)