Trentamila imprese, un milione di dipendenti, un indotto diretto di tre – quattro milioni di euro. Un comparto a gestione perlopiù familiare che, di punto in bianco, ha visto cambiare una delle regole più importanti per qualsiasi imprenditore: la durata di vita della propria azienda. È il settore balneare, i cui componenti da circa otto anni vivono “con il coltello puntato alla gola, lottando contro chi dovrebbe essere nostro alleato“, afferma Luca Maimone, vicepresidente vicario nazionale di Assobalneari e presidente della sezione siciliana. A causare tutto è la sospensione delle concessioni balneari, una decisione del governo nazionale che fa seguito a una norma europea del 2006.
“Tutto è iniziato undici anni fa, con la direttiva Bolkestein – racconta Maimone – Di fatto è una direttiva sui servizi, molto corposa, che tutela la libertà di esercizi nell’Unione europea“. La normativa, per esempio, permette a un falegname olandese di lavorare in Finlandia o in Germania. E una parte della direttiva stabilisce che, nel caso in cui c’è una carenza di risorse, non se ne deve dare un uso esclusivo. Come si applica tutto questo alle concessioni balneari? “L’Unione europea sostiene che si tratta di concessioni di servizi e, supponendo che queste risorse siano limitate, il quadro normativo precedente non può sussistere“, risponde il rappresentante della categoria. Gli altri Paesi hanno risposto “tutelando i propri imprenditori con delle proroghe delle concessioni anche di 75 anni – prosegue – In Italia tutto questo non è accaduto“. E la Sicilia è diventato un caso a parte, in peggio.
Fino al 2009 a reggere il settore sono due norme: da una parte il codice della navigazione, che concede una sorta di diritto di precedenza per le concessioni balneari al titolare uscente; dall’altra la cosiddetta legge Baldini che prevede il rinnovo ogni sei anni. “Chi aveva fatto degli investimenti aveva la certezza di poter avviare o proseguire l’attività – precisa Luca Maimone – Noi ci basiamo esclusivamente sulla concessione demaniale“. Otto anni fa l’Ue avvia una procedura d’infrazione e l’Italia cancella completamente le regole del gioco, chiedendo soltanto del tempo per adeguarsi.
Il governo, dunque, congela la situazione e concede due proroghe di tutte le concessioni balneari, la prima fino al 2015 e la seconda al 2020. Nel frattempo non solo non è stato fatto nulla, ma la Sicilia ha recepito la norma in maniera errata. “La Regione ha modificato la parola ‘proroga’ in ‘rinnovo’ – spiega – quindi è stato necessario rifare tutte le procedure di concessioni rilasciate magari 30 o 40 anni prima; tutti ci siamo ritrovati improvvisamente in una situazione difficile“. E in attesa delle nuove regole “non facciamo nessun investimento, non abbiamo alcuna certezza – sbotta Maimone – le fiere di settore sono un mortorio, tutti stiamo ad aspettare“. Tutti tranne i concorrenti e i potenziali investitori esteri.
Infatti nel resto del Vecchio continente le aree turistiche sono state tutelate dai rispettivi governi. Assobalneari ha condotto diversi studi in quei Paesi che – per clima e sfruttamento turistico – somigliano all’Italia. “In Portogallo nel 2007 è stato approvato un decreto in cui c’è il diritto del concessionario uscente ad avere una sorta di prelazione e i rinnovi sono stabiliti per 75 anni“. Situazione simile in Spagna, dove dal 2013 – dopo un’azione di lobby degli imprenditori – la nuova norma prevede scadenze tra 30 e 75 anni. “In Olanda stiamo analizzando la situazione – dice il rappresentante di categoria – Le concessioni demaniali vengono rinnovate ogni sei anni in maniera abbastanza automatica“. Per nessuno dei tre i casi l’Ue ha avviato alcuna procedura di infrazione, cosa che invece si è verificata per l’Italia.
In questi anni Assobalneari ha avanzato delle proposte, rimaste inascoltate. Solo da qualche mese l’esecutivo ha chiesto al Parlamento la delega per il riordino della legge marittima. “Ma non si parla di nessuna proroga o di qualche possibilità degli attuali concessionari di continuare a esistere – sottolinea Maimone – Dicono che il governo tutelerà i concessionari con un periodo transitorio, ci verrà riconosciuto il valore commerciale e in una eventuale evidenza pubblica verrà riconosciuto il lavoro fatto prima“. Tutti elementi in contrasto proprio con le direttive europee. Per questo motivo l’allarme tra gli associati è molto alto.
“In Sicilia ci sono circa tremila concessioni balneari – afferma il presidente regionale – A parte qualche caso isolato, si tratta di piccole e microimprese a conduzione familiare“. A Catania, “se non ci fossero gli stabilimenti, la Playa non esisterebbe. Sarebbe uno sfacelo, come lo sono le spiagge pubbliche, e non ci sarebbe nemmeno il viale Kennedy“.
L’amarezza per chi ha fondato la propria vita sulle coste è molto grande. “Altrove i nostri competitor stanno tutelando i loro imprenditori; noi ci troviamo soli e a combattere contro il nostro stesso Stato“. Quello che Assobalneari chiede è “dare una proroga secca di almeno 30 anni a tutti i concessionari“. E aggiunge: “Siamo rammaricati di essere l’unica associazione di categoria a tenere la schiena dritta nei confronti del governo“.
Il quadro precedente poteva essere modificato. “Quello che andava fatto era cercare di unificare le norme tra tutte le regioni – commenta Luca Maimone – Prima c’era una disparità, anche notevole“. Poi conclude: “Tutto è migliorabile, ma non possiamo farlo con una scadenza ormai di pochi anni, dopo aver avviato le nostre vite e quelle delle nostre famiglie, senza sapere cosa sarà del nostro futuro“.