“Il welfare non è prodotto principalmente dalla pubblica amministrazione. Vi sono altri soggetti produttori di welfare: cooperative sociali, associazioni di volontariato, comitati parrocchiali. Tutti gestiscono servizi. Assieme a loro dobbiamo mettere anche i produttori professionali individuali ed anche gli psicologi, non solo singolarmente ma complessivamente, come ordine professionale. E’ per tale motivo che la pubblica amministrazione è chiamata a ripensare il proprio ruolo, il proprio modo di collegarsi al territorio per dare il massimo possibile dei servizi”.
Esordisce così Felice Scalvini, assessore alle politiche per la Famiglia, la Persona, la Sanità e alle Politiche giovanili del Comune di Brescia. Lo abbiamo incontrato ad Acireale ad un forum sui servizi alle persone con le cooperative attive nel territorio. Riferisce sulla sua attuale esperienza che fa seguito ad anni di impegno nel mondo della cooperazione sociale di cui è stato leader e punto di riferimento.
Ma cosa deve fare oggi la pubblica amministrazione, come deve agire?
“Semplicemente, si fa per dire, deve agire come Agenzia. Cioè deve riuscire a coordinare, ad aggregare tutte le risorse materiali ed immateriali della società per destinarle a risolvere i problemi della stessa comunità”.
Come può avvenire?
“Non è semplice, perché c’è sempre in agguato il rischio dell’illegalità, strettamente legato alla logica degli appalti, alla logica del massimo ribasso. Da questo punto di vista, finora, la pubblica amministrazione ha messo gli uni contro gli altri, invece di pensare tutti i soggetti interessati come una rete che agisce in modo coordinato”.
Da dove attinge la cambiata visione del modo di comportarsi delle P.A.?
“La pubblica amministrazione, guardando quello che accade nel mercato, deve agire da azienda leader che trascina le altre attraverso la formazione, la qualità, in sostanza, accrescendo l’efficientamento del sistema. In pratica, per esempio, le P.A. debbono attrarre quote del mercato esterno per ridistribuirle in modo razionale ed affrontare con più risorse quello che i cittadini chiedono”.
E aggiunge.
“Tranne che per i compiti strettamente istituzionali, la pubblica amministrazione non dovrebbe più erogare servizi dall’interno, anche perché non sempre ha risorse e professionalità specializzate. E’ per questo che deve fare una politica di sostegno ai produttori qualificati di servizi. Questo deve avvenire lungo un percorso condiviso fatto di trasparenza, legalità, imparzialità e dialogo con chi eroga e chi riceve servizi. Cambia, insomma, totalmente la visione e l’approccio della pubblica amministrazione”.
Come fare per far crescere questo atteggiamento?
“Un altro ruolo che potrebbe avere è quello di trovare qualcuno (anche part time, perchè la P.A. non ha questa figura professionale al proprio interno) che stimoli la qualificazione del volontariato. Cioè non è possibile che tutti facciano tutto. Non si possono affrontare genericamente tutte le disabilità e le richieste di servizi. Ci si deve specializzare, per esempio, nell’assistenza agli anziani, venire incontro alle loro esigenze che sono diversissime (comunità alloggio, assistenza domiciliare, accompagnamento nelle vacanze soggiorno). Ma ci si deve specializzare anche nell’assistenza ai soggetti autistici. Altra specializzazione occorre per i problemi dei senza fissa dimora, oppure per i minori in comunità assegnati dai tribunali, per i minori non accompagnati, per le donne in difficoltà e così via”.
“La vera scommessa – conclude – è quella di portare i servizi nei quartieri e questo si può fare solo dando le risorse ai produttori che, come dicevo, debbono elevare la loro qualità professionale ed essere più vicini agli assistiti, per fare quello che la P.A. difficilmente potrà fare: umanizzare il rapporto con i cittadini”.