Ancora una volta la Sicilia (in questo caso Palermo, per le amministrative di giugno) diventa laboratorio politico, almeno così i dirigenti locali intendono giustificare la scomparsa del simbolo PD per “potere riunire tutte le forze”. Una decisione che fa nascere una vera e propria baraonda.
“E’ un partito prostrato che non sa svolgere il suo ruolo sul territorio”, stigmatizza Andrea Orlando riferendosi a quel che accade a Palermo, dove il Pd rinuncia a presentare il proprio simbolo per le comunali per dar vita a una lista unica con i centristi di Ap e con gli ex Udc di D’Alia.
“Se vincerò il congresso – afferma Orlando – garantisco che almeno nei capoluoghi di provincia ci sarà in tutt’Italia il simbolo del partito. Palermo è il segno di una crisi politica forte e chi non la vede non fa i conti con la realtà”.
A far capire che aria tira e come si senta con le “spalle coperte”, l’oggetto delle critiche, il segretario palermitano dei democratici, Carmelo Miceli (per chi non lo sapesse è un “renziano”), spiega che la decisione di rinunciare al marchio Pd è stata presa in direzione provinciale con l’accordo di tutte le aree del partito.
“Pretendo (sic!) che Andrea Orlando – attacca con disinvoltura – si astenga dal farsi marchette congressuali attraverso critiche alla Federazione di Palermo. Critiche palesemente infondate e populiste come quelle del peggior Di Battista”.
Un’espressione che produce una vera e propria spaccatura. Una parte del Pd, infatti, insorge contro Miceli e si schiera: il deputato Giuseppe Berretta liquida la reazione del segretario provinciale come “inconsulta”. Mentre i parlamentari Camilla Fabbri, Valeria Cardinali, Rosaria Capacchione, Salvatore Tomaselli, Stefano Vaccari e Daniele Borioli dicono che “quello che sta succedendo a Palermo è grave e conferma tutte le nostre preoccupazioni sulla condizione del partito”.
In soccorso di Miceli intervengono i renziani. “Il partito – dice Matteo Ricci, vicepresidente del PD – lavora per vincere le amministrative, per questo cerchiamo di allargare il campo anche a presenze civiche e moderate. Sorprende quindi che per qualcuno tutto ciò sia diventato improvvisamente un problema”.
E fa sentire la propria vice anche Davide Faraone, sottosegretario alla Salute, palermitano e leader dei renziani in Sicilia: “Quello che abbiamo lanciato nel capoluogo siciliano – spiega – è un esempio di progetto civico che unisce il centrosinistra allargato, cancella le divisioni del passato e mette insieme tutti intorno all’idea di città che vogliamo sotto una guida forte e autorevole. Una scelta che rivendichiamo come modello politico moderno e innovativo, inclusivo e non divisivo”.