Anche questa mattina, per i soci lavoratori e i dipendenti della Cooperativa Marianella Garcia, è stata spesa a palazzo dei Chierici, sede della Ragioneria del Comune di Catania. Un ennesimo viaggio per chiedere lumi agli amministratori sulle tante fatture in attesa di pagamento. “Per noi è un continuo mendicare un diritto. Quando tu rispetti tutte le normative, hai contratti regolari e nessun problema di gestione, ti ritrovi ad aspettare i tempi della pubblica amministrazione“, spiega il presidente della cooperativa Giuseppe Scionti. “Attendiamo soldi – prosegue – per misure derivanti dalle Leggi nazionali 285 e 328, per le quali lo Stato assegna contributi ai comuni che sono in teoria vincolati. Perché non ci vengono pagati dal Comune? Vengono utilizzati per altro, viene da pensare”.
Complessivamente Marianella Garcia attende “circa 700mila euro da Catania, e abbiamo anche fatto una ingiunzione. Che spero diventi esecutiva a breve. Ci sono – prosegue Scionti – ritardi atavici, non abbiamo risposte chiare e viviamo alla giornata. Con in più il problema che dobbiamo pagare i contributi per avere il Durc pulito e poi farsi pagare dall’amministrazione il dovuto. Questo sistema non può più andare avanti così“.
E così i lavoratori attendono “ben dieci mensilità“. A raccontarlo è Tonino, uno degli educatori che lavora per la cooperativa sociale. “Questa mattina – racconta -, siamo andati in piazza Duomo, insieme ai soci, anche noi dipendenti, perché la cooperativa si è sempre comportata correttamente, e sappiamo che i ritardi non dipendono da loro, ma dall’amministrazione che non paga puntualmente“, spiega il 33enne.
Tonino attende “parecchie migliaia di euro“, ma la preoccupazione prima che alla sua situazione personale va ai suoi colleghi “siamo in circa 40 tra soci e dipendenti, e io che non ho ancora figli, non ho mutui o altro, ho serie difficoltà. Ma ci sono famiglie che sono arrivate al limite, e che nonostante tutto portano avanti il lavoro nel centro di aggregazione, nell’educativa scolastica, domiciliare, nel centro per minori stranieri e in tutti gli altri servizi“, conclude Tonino.
Al termine della giornata in Comune, conclusasi con una promessa di pagamento, i soci della cooperativa hanno però deciso di pubblicare sulla pagina Facebook della cooperativa sociale uno sfogo, dal titolo “Il lavoro al tempo della cooperazione sociale a Catania”:
“Se hai un lavoro e lo svolgi regolarmente – si legge nella lettera aperta –, la normalità esigerebbe che percepissi “regolarmente” il tuo stipendio. Ma questa regola, basilare, nonché diritto inconfutabile, a quanto pare non vale se lavori nel settore della cooperazione sociale e, soprattutto, se svolgi il tuo servizio per il comune di Catania.
Qui, ogni mese, devi mettere in scena una tragicommedia che ti impone di recitare dei ruoli di volta in volta necessari al raggiungimento dell’obiettivo di pagarti uno stipendio: inizi col recitare il tuo ruolo di amministratore della cooperativa che si informa regolarmente sull’iter finanziario delle sue fatture e che riceve rassicurazioni su tempi celeri.
Passano i giorni e ti ripresenti nel ruolo di padre di famiglia, che cerca di stabilire un rapporto empatico con il dirigente o l’impiegato interessato, cercando di sensibilizzarli alle sorti economiche e familiari dei soci e dipendenti della cooperativa che aspettano lo stipendio e che, a questo punto, confidano nelle sue capacità persuasive.
Ricevi l’ennesima promessa di accelerazione delle pratiche e rientri in sede rassicurando i lavoratori sulla prossima conclusione della vicenda.
Ritorni dopo qualche giorno per verificare e, finalmente, ti danno la tanto sospirata notizia del pagamento, aggiungendo, però, la “piccolissima clausola” (ma a quel punto non te ne frega più di tanto) che la valuta sarà la prossima settimana!!!. Cominci a contare i giorni e la mattina fatidica inizi a controllare i movimenti sul conto. Passano le ore e quando finalmente intorno alle 14,00 cominci a “vedere” alcuni pagamenti: li scorri, fai un calcolo approssimativo e …..i conti non tornano: hanno pagato forse un terzo dell’importo che ti aspettavi. Vieni preso dallo sconforto, perché ad occhio e croce l’importo basta appena a pagare tasse e contributi e non resta nulla per il pagamento degli stipendi. Anche se ti fa arrabbiare non dare priorità ai lavoratori e ai loro stipendi, ma allo Stato, sai che non puoi fare diversamente, perché se il tuo DURC non è regolare, addio successivi pagamenti. A testa bassa e con tanta amarezza comunichi ai lavoratori la nuova situazione… e riprendi il tuo iter.
Questa volta ti tocca di recitare il ruolo del “mendicante” che implora un beneficio, un favore: e, poiché incontri anche tante persone di buon cuore e grande volontà, ricevi l’enne-ennesima promessa. A questo punto, sorge spontanea una domanda: «Ma se rimane tutto fermo, quale altra carta mi gioco?»
Tempo fa ho letto un articolo sulla cooperazione sociale che descrive benissimo il modello di cooperazione sociale a cui proviamo ad ispirarci e che rappresenta una sorta di “carta dei nostri valori”: Le schienedritte (G. Marocchi).
Le schienedritte dei prezzi, più di una volta, li hanno pagati. Per silenziosi “no” pronunciati in privato, per non rinnegare un valore, una persona o un pezzo della propria storia.
Le schienedritte sono tanti cooperatori, più o meno anonimi, che la crisi, certo, la sentono, eccome, ma da anni riescono comunque ad andare avanti.
Le schienedritte sono donne e uomini, nel terzo settore e non solo, che proprio non ce la fanno ad omaggiare e compiacere il potente di turno. Non che ogni tanto non ci provino, ma è più forte di loro, non ci riescono e alla prima occasione fanno un passo indietro.
Le schienedritte molte volte si sentono parte di qualcosa, ma non appartengono a nulla e nessuno.
Le schienedritte commuovono, è questa una delle loro forze. L’altra è che sono capaci di commuoversi. Di solito però sono ingenue, troppo ingenue.
Noi, Schienedritte, lavoriamo sodo nelle tante trincee che dai vostri uffici forse non vedete.
Siamo le sentinelle della “legalità” nelle periferie degradate e martoriate di questa città.
Rappresentiamo una fonte di speranza per tanti bambini e ragazzi ai quali non si riconoscono più neanche i diritti elementari (salute, istruzione, cibo): diritti che molti non sanno neanche di avere.
Siamo dei professionisti che hanno scelto di lavorare nel sociale non per “ripiego”, perché non abbiamo trovato di meglio, o, in attesa di fare concorso per il “tanto sospirato” impiego pubblico.
No, la maggior parte di noi ha scelto questo lavoro per passione e lo compie con spirito di servizio, senso di responsabilità e sacrificio personale.
In questo sta la nostra dignità.
Accettiamo di svolgere servizi al ribasso,
di essere chiamati i “ragazzi” o i “volontari” della Marianella (senza nessun riconoscimento della nostra professionalità),
ma non ci importano i titoli, ma solo le risorse necessarie per continuare a svolgere il nostro lavoro al servizio delle persone più fragili e vulnerabili della nostra comunità.
Siamo degli ingenui? Siamo troppo ingenui? Forse: ma siamo fatti così”.