Dopo l’allarme sull’occupazione in Sicilia lanciato nei giorni scorsi dalla Cgil Sicilia, che ha analizzato i dati contenuti nell’ultimo rapporto Istat sul mercato del lavoro in Italia, abbiamo chiesto un commento a Roberto Cellini, professore ordinario di Economia Politica dell’Università di Catania.
“Partiamo – spiega Cellini – da un dato aggregato, molto semplice da capire: in Italia, nel 2016, il tasso medio di disoccupazione rilevato dall’Istat è stato il 11,7%; in Sicilia, il dato corrispondente è il 22,1%. Quindi, il tasso di disoccupazione è in Sicilia praticamente doppio rispetto al dato nazionale. Questo dato è non solo allarmante, ma tragico, anche perché un tasso di disoccupazione regionale doppio rispetto a quello nazionale è strutturalmente stabile negli ultimi anni.
“Se veniamo all’ultimo trimestre, in Italia il tasso di disoccupazione è in leggero aumento, ma per il motivo che un certo numero di persone, prima scoraggiate, si sono offerte sul mercato del lavoro (senza trovare occupazione); il dato di aumento del tasso di disoccupazione, in questo caso, può essere interpretato come un segnale positivo perché scende il numero di persone scoraggiate. E infatti, l’incremento del tasso di disoccupazione si è accompagnato – a livello nazionale- anche ad un aumento del tasso di occupazione, cioè del rapporto tra le persone che lavorano e quelle che si trovano in età di lavoro (questo rapporto è al 57,4% per l’Italia nel suo complesso, ma scende a 43,3% per il Mezzogiorno).
“In questo senso, la situazione della Sicilia è un po’ più preoccupante, perché sono aumentati i disoccupati (da 368 mila nel 2015 a 383 nel 2016, con un numero pari a 391 mila nell’ultimo trimestre), ma contestualmente non sembrano aumentati gli occupati; anzi, gli occupati totali (da dati Istat) sembrano leggermente scesi in Sicilia, da 1 milione 353 mila del 2015 a 1 milione 351 mila del 2016 (a 1 milione 342 mila nell’ultimo trimestre del 2016).
“In ogni caso, l’aumento del tasso di disoccupazione in Sicilia, dal 21.4% del 2015 (dato annuale) al 22.1% del 2016 (pure dato annuale) non può essere letto come dovuto unicamente alla aumentata partecipazione sul mercato del lavoro generata dagli ex scoraggiati (ovvero coloro che non stanno cercando lavoro perché credono che non ce ne siano disponibili). E il decremento del numero degli occupati (al di là della sua dimensione che cambia molto se valutata anno su anno o trimestre su trimestre) è un segnale preoccupante, che va in contro-tendenza rispetto ad altri indicatori che sembravano potere consentire un (sia pure molto moderato) ottimismo circa il fatto che la “grande recessione” era terminata, anche nella nostra regione”.
Un ultimo appunto Cellini lo dedica all’eventuale conferma del dato di oltre 45mila occupati in meno rispetto al 2015. “I dati diffusi dalla CGIL – spiega il docente – operano un confronto tra il quarto trimestre del 2016 e il quarto trimestre del 2015: effettivamente in questo caso, il calo degli occupati appare di circa 45 mila unità; tuttavia il dato trimestrale più recente, quello del quarto trimestre 2016, potrebbe essere soggetto a revisione (infatti, tipicamente nell’ultimo trimestre di ogni anno l’occupazione è più alta che nei due trimestri contigui, mentre questo non succede nell’ultimo dato reso disponibile)”.
“Prima di esprimermi, pertanto, vorrei capire se e quali fattori stagionali abbiamo inciso sul dato e se questo sia definitivo. Fare riferimento ai dati medi annuali, insomma, mi sembra più cauto”, conclude il professore Roberto Cellini.