Sarà la più recente creazione del coreografo catanese Roberto Zappalà, eminente personalità della danza internazionale, a concludere in bellezza la rassegna “Natale al Bellini”, promossa dal Teatro Massimo Bellini a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, con straordinario consenso e grande affluenza di pubblico.
Mercoledì 4 e giovedì 5 gennaio (ore 21,00), nella prestigiosa sala del Sada sarà rappresentato in prima siciliana lo spettacolo “I am beautiful”, quarta tappa del progetto “Transiti Humanitatis”, da un’idea di Nello Calabrò e dello stesso Roberto Zappalà, che firma coreografia e regia.
Le musiche originali sono del gruppo “I Lautari”, al secolo Puccio Castrogiovanni, Salvo Farruggio, Marco Corbino, Gionni Allegra, Salvatore Assenza.
Sulla scena un rodatissimo corpo di danzatori che annovera Maud de la Purification, Filippo Domini, Sonia Mingo, Gaetano Montecasino, Adriano Popolo Rubbio, Fernando Roldan Ferrer, Claudia Rossi Valli, Ariane Roustan, Valeria Zampardi.
Si tratta di una produzione internazionale di ampio respiro, realizzata da Compagnia Zappalà Danza/Scenario Pubblico-Centro Nazionale di Produzione della Danza, in collaborazione con Impuls Tanz Vienna International Dance Festival, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Garibaldi/Union des Théâtres de l’Europe, Teatro Massimo Bellini Catania, con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Regione Siciliana-Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo.
“I am beautiful”, reduce dal successo di pubblico e critica del 10 novembre scorso all’Euro-Scene Festival di Lipsa, costituisce il punto d’arrivo del progetto “Transiti Humanitatis”, avviato nel 2014 da Roberto Zappalà insieme alla sua compagnia, dove l’“umanità”, quella dell’umanesimo, rimanda agli “Studia humanitatis” che nel Quattrocento indicavano gli studi letterari volti a formare la persona e ora diventano, nella “traduzione” di Roberto Zappalà, gli “studia” del corpo e del gesto trasfigurati in un universo coreografico che mette il corpo, la sua naturale bellezza quale elemento fondante e transito ineludibile; con la certezza che «occorre avere un corpo per trovare un’anima» (da Soltanto di Jan Twardowski).
Il progetto comprende le produzioni “Invenzioni a tre voci” (2014), creazione dedicata alla donna, “Oratorio per Eva” (2014), omaggio alla figura simbolica di Eva, “La Nona” (2015), ispirato all’ultima sinfonia di Beethoven (Premio Danza&Danza come Miglior Spettacolo dell’anno 2015).
A partire dal corpo, tutto incomincia e tutto si consuma ed esaurisce; e la bellezza del corpo considerato come santuario laico dell’umanità è un “pensiero” da difendere e incoraggiare in una contemporaneità dove bellezza, corpi e laicità sono sempre più oltraggiati. Il titolo è suggerito dalla scultura di Rodin che a sua volta è ispirata al primo verso di una poesia di Baudelaire “La Beauté”: «Je suis belle, ô mortels! comme un rêve de pierre».
Il sogno di pietra si trasfigura nel movimento attraverso una lingua che ha la sua grammatica e la sua sintassi nei nervi e nelle giunture, nei fremiti e nei sussulti. In questo allestimento Zappalà abbandona quasi del tutto ogni finzione drammaturgica per sviscerare ed esaltare fino in fondo il linguaggio della sua Compagnia.
Quella di “I am beautiful” diventa così una danza che assume come categoria fondamentale quella della visceralità «intesa e vissuta come nel mondo contadino, cioè come qualcosa di familiare e quotidiano, naturale» (da “Soltanto” di Jan Twardowski).
Le lingue in evidenza, i volti deformati, i corpi in disequilibrio o che sfidano la legge di gravità, all’interno di un disegno coreografico rigoroso e scenicamente scarnificato, sono alcuni “incidenti” che servono a fare arrivare la danza direttamente al sistema nervoso dello spettatore” (come, secondo John Berger, fa Bacon con la pittura): non al cervello, ma al sistema nervoso.
In “I am beautiful” la danza stessa parla in prima persona attraverso il corpo dei suoi interpreti; si dichiara bella e mentre afferma se stessa si rende conto che la bellezza che vorrebbe raggiungere non è mai una risposta o una soluzione ma sempre un interrogativo e una ricerca incessante. È come se alla base di tutta la danza ci fosse un principio d’incertezza che è parte della sua bellezza.
La contemporaneità del gesto coreografico che ne consegue consiste proprio nell’esaltare questa incertezza, questo tendere verso, piuttosto che affermare. In un viaggio di andata e ritorno dal palco agli spettatori e viceversa, i binari che portano a destinazione la danza dello spettacolo sono quelli della semplicità e del rigore, della visceralità e, appunto, dell’incertezza.