Una potenziale svolta nella cura del cancro con fasci di ioni, l’adroterapia. Una scoperta che potrebbe avere delle conseguenze soprattutto per i pazienti più piccoli. È l’importante risultato della ricerca svolta da una giovane studiosa siciliana, Marta Rovituso, che ha vinto il premio “Christoph Schmelzer 2016“. Rovituso, 30 anni, è originaria di Caltanissetta. “Dopo il diploma, ho preso la laurea a Catania in Fisica“, racconta. Continua il percorso magistrale all’interno dei Laboratori del Sud dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare, e svolge la tesi in Germania. Da qui inizia un percorso con il centro di ricerca Gsi di Darmstadt. “Ho lavorato nel dipartimento di Biofisica, in un team di circa cento persone – continua – molti docenti e studiosi sono italiani, soprattutto meridionali“.
Concluso il dottorato pochi mesi fa, a giugno 2016 si trasferisce a Trento, dove da poco è stato creato un gruppo di studio che si occupa di adroterapia, una cura per le malattie tumorali meno invasiva rispetto alla più nota radioterapia. “L’adroterapia è utilizzata da molti anni in tutto il mondo. In Europa il Gsi è stato il primo centro – spiega Marta Rovituso – Adesso in Italia sono attivi i centri di Pavia, Trento e Catania“.
Lo studio della ricercatrice siciliana dimostra come l’elio possa essere più efficace rispetto al carbonio, che potrebbe produrre a lungo termine tumori secondari, e quindi più adatto per la cura dei pazienti pediatrici. “La mia ricerca stava nel capire se l’elio poteva essere un’opzione valida – riassume – Ho fatto degli esperimenti che pongono la base per gli studi clinici di simulazione sui pazienti“.
L’importanza scientifica del lavoro di Rovituso, dunque, le è valso quello che nel campo della Fisica è il riconoscimento più importante che ha condiviso con due colleghe. “Il mio step è quello iniziale – puntualizza Marta Rovituso – Ho fornito i dati sperimentali a livello fisico. Il secondo passo sarà inserirli nei piani di trattamento. Per arrivare alla clinica, dalla ricerca, ci vuole del tempo. Ma intanto la comunità scientifica mondiale è interessata a questi dati iniziali“.
A Trento la ricercatrice continua a occuparsi di esperimenti con protoni e sta “scrivendo un secondo articolo scientifico, sempre sull’elio. Continuerò almeno per un anno su questo argomento“. Sia per motivi personali che per ragioni di studio, non c’è nell’immediato futuro il progetto di tornare in Sicilia. “Al momento l’idea è di restare a Trento. Avere un ambiente clinico di questo tipo ti dà motivazione“.
Eppure un tipo di ricerca come quello che ha portato Rovituso a questi risultati avrebbe potuto svolgersi anche alle falde dell’Etna. “Avremmo avuto qui dei giovani brillanti, quelle eccellenze che dall’università di Catania spesso emergono, e avremmo curato qui migliaia di pazienti“, lamenta Salvatore Lo Nigro, ordinario di Fisica nucleare di Unict. “Già nel 1999 abbiamo iniziato la sperimentazione nell’adroterapia“, afferma. Nel 2002 “siamo riusciti a fare partire la protonterapia (un tipo di adroterapia che utilizza protoni, ndr) per i tumori dell’occhio“. Viene raggiunto un accordo che prevede l’utilizzo per sette settimane all’anno di un macchinario dell’Infn. “Presi d’entusiasmo, ci siamo chiesti se potevamo trattare tumori diversi, con macchine più potenti“.
Il gruppo di lavoro presenta un progetto, accolto dall’assessorato regionale alla Salute e presentato negli accordi Stato-regioni tra i piani da poter realizzare. “L’Unione europea ha dato la disponibilità a cofinanziare il progetto con 66 milioni di euro – prosegue Lo Nigro – Abbiamo trovato anche una cordata di privati disposti a partecipare“. Ma il sogno di realizzare un centro all’interno dell’ospedale Cannizzaro si interrompe nel 2015, quando la Regione rinuncia definitivamente al finanziamento ottenuto dall’Ue. Da Palermo, la tesi, è che “l’efficacia di questo trattamento per il cancro, conosciuto in tutto il mondo, doveva essere approfondita“, commenta amaramente il professore. Intanto il ministero della Salute accetta l’adroterapia tra i trattamenti rimborsabili dal Sistema sanitario nazionale e i pazienti si spostano verso i centri di Pavia e Trento. Per quanto riguarda la cura dei tumori dell’occhio, invece, Catania per fortuna continua a lavorare. “Abbiamo circa 400 pazienti e la metà vengono da fuori Sicilia“.
Resta però l’amarezza per non aver potuto dare di più al territorio, ai malati e ai giovani ricercatori. “Noi eravamo pronti – chiosa Salvatore Lo Nigro – Per una questione politica abbiamo dovuto abbandonare tutto e questi ragazzi sono costretti ad andare fuori, dove viene riconosciuto il merito della nostra formazione, per sviluppare linee di ricerca applicative“.