L’ottavo appuntamento del 6° Festival Internazionale del Val di Noto “Magie Barocche”, diretto da Antonio Marcellino, nella splendida sede di Palazzo Biscari a Catania, ha proposto la prosecuzione del ciclo dedicato ai quintetti di Boccherini. Iniziato nel 2014, il progetto è stato avviato in collaborazione con Casa Ricordi e con il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Catania. Del compositore lucchese furono proposti nel 2015 alcuni Quintetti (nella sterminata produzione boccheriniana di questo genere musicale, dodici sono con pianoforte più quartetto d’archi).
La proposta riguarda il Quintetto per archi (comprendente appunto l’organico con due violoncelli) in do maggiore op. 10 n. 4, G 268 del 1771, dedicato all’infante Luigi di Spagna. L’esecuzione è stata affidata al Quartetto Ætna, composto da Marcello Spina violino primo, Alessio Nicosia violino secondo, Gaetano Adorno viola, Alessandro Longo violoncello, cui si aggiunge il rinforzo di Benedetto Munzone.
Il solista chiamato a suonare il fortepiano sarà Alistair Sorley. Nato in Gran Bretagna, si è diplomato in pianoforte e violino alla Royal Academy of Music. Ha partecipato ai più importanti festival europei di Musica da Camera, ove ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti. Attualmente lavora come violinista, pianista, maestro collaboratore e cembalista presso il Teatro Massimo «Vincenzo Bellini» di Catania.
Alistair Sorley ha proposto come primo brano la Sonata in la maggiore op. 17 n. 5 (nei due movimenti Allegro e Presto) di Johann Christian Bach. Poi, di Johann Sebastian Bach, la prima serie dall’Arte della Fuga (Die Kunst der Fuge) BWV 1080, e precisamente i primi quattro Contrapunctus. Come secondo brano l’Allegro in si bemolle maggiore di Domenico Cimarosa, e quindi il Quintetto boccheriniano per soli archi già citato.
La serata si è conclusa con Wolfgang Amadeus Mozart e il suo Concerto per pianoforte e orchestra in la maggiore n. 12, KV 414. L’organico originario comprende, oltre allo strumento solista, 2 oboi, 2 corni e archi, ma la presente versione da camera è senza l’apporto dei fiati. Si tratta di una delle pagine per le quali lo stesso Mozart nutriva particolare predilezione.
Il vertice della produzione pianistica mozartiana degli anni di Vienna (1781-1791) è concentrato nei 17 concerti per pianoforte che restano uno dei momenti più significativi della personalità creatrice di questo straordinario compositore. Nei primi concerti per pianoforte Mozart tende ad evidenziare maggiormente il ruolo dello strumento solista, pur non trascurando la funzione dell’orchestra sotto il profilo timbrico e ritmico.
Lo stesso musicista, in una lettera al padre del 28 dicembre 1782, scrisse in questi termini a proposito dei primi concerti viennesi: «I concerti sono una via di mezzo tra il troppo difficile e il troppo facile; sono molto brillanti e piacevoli all’udito, naturalmente senza cadere nella vuotaggine. Qua e là anche i conoscitori possono ricevere una soddisfazione, ma in modo che i non conoscitori devono essere soddisfatti, senza sapere perché».
Negli anni successivi il linguaggio dei concerti per pianoforte si fa più intimo e riflessivo e il rapporto tra strumento solista e orchestra assume toni più elaborati e raffinati. Tale evoluzione si può cogliere nelle diverse fasi della produzione concertistica: nel 1782-’83 Mozart scrisse tre concerti per pianoforte (K. 413, K. 414, K. 415).
Il Concerto in la maggiore K. 414 è articolato in tre tempi e per ognuno di essi Mozart scrisse la cadenza, improntata ad uno stile di misurato virtuosismo. L’Allegro iniziale viene esposto da un tema piacevolmente discorsivo degli archi, in preparazione dell’intervento del pianoforte in un ruolo elegantemente dialogante. Dopo lo sviluppo del primo tema e il ritornello si delinea una seconda frase e successivamente una variante di essa, nel contesto di un equilibrato accompagnamento orchestrale. L’Andante, delicato ed espressivo nella sua linea melodica, vuole essere un omaggio a Christian Bach, un autore molto stimato da Mozart: infatti sembra che il tema dell’Andante si richiami ad una figurazione musicale contenuta in una ouverture londinese del figlio di Bach. Anche in questo movimento c’è la cadenza solistica prima della ripresa del ‘tutti’. L’Allegretto finale, o più esattamente rondò, è punteggiato da un discorso fresco e spigliato tra il pianoforte e il gruppo strumentale, sino a toccare quell’allure leggera e tonificante, tipica dell’inventiva mozartiana.